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“Voglio essere un ponte tra Italia e Bangladesh”. La storia del fotografo Nasirul Islam

Ha presentato al fotoclub Il Sestante la mostra 'Il racconto del Monsone': "Ho passato un mese nel mio villaggio d'orgine. Ora vivo in Italia, e spero di affermarmi come fotografo". Ecco la sua storia

Nasirul Islam

«Voglio raccontare le storie dei miei concittadini che si sono trasferiti qui in Italia. Ce ne sono tante, rimaste finora sconosciute, perché gli italiani sanno poco o nulla della cultura del Bangladesh». Nasirul Islam ha le idee chiare. Arrivato in Italia con una formazione di tutto rispetto – una laurea in contabilità conseguita a Londra e una in fotografia in Bangladesh – adesso vuole stabilirsi qui e farsi conoscere come fotografo. L’obiettivo è certamente ambizioso: avvicinare le culture di Italia e Bangladesh, vista la forte presenza dei suoi compaesani, soprattutto in Lombardia.

Come nasce il tuo rapporto con l’Italia?

La prima volta che venni in Italia fu nel 2006. Mio padre lavorava qui e, da quell’anno, venni a trovarlo quasi ogni anno. Ma non stavo mai più di qualche giorno, perché quando cominciai a studiare giravo principalmente tra Londra, Dacca e il mio villaggio.

Quello che si vede nelle tue foto?

Sì. Questa mostra nasce da un progetto, l’ultimo, che portai avanti per l’università. Mi trovavo nel mio villaggio, causalmente nella stagione dei Monsoni, tra giugno e luglio: fu una combinazione fortunata, perché avevo davanti agli occhi dei paesaggi incredibili. La stagione è veramente straordinaria, anche per quello che ti permette di catturare (molte fotografie di Nasirul si concentrano su attimi estemporanei degli abitanti: una partita a calcio, un tuffo nel fiume, il sorriso dei bambini mentre giocano per le strade, (ndr).

Il Monsone al Sestante

Quindi adesso il tuo piano è stabilirti in Italia?

Sì, da quando ho preso il diploma di laurea a Dacca mi sono trasferito qui, con mio padre. L’Italia ha una grande reputazione nel campo della fotografia. Nel passato, ma anche nel presente: ci sono tantissimi giovani fotografi bravi. Nei premi internazionali, è molto comune trovare almeno uno o due nomi italiani. Ma anche il Bangladesh sta crescendo: siamo un po’ in ritardo con altri paesi, è vero, ma pian piano le cose stanno cambiando anche lì. Voglio dare un contributo a entrambi i movimenti, e se possibile avvicinarli.

In effetti le due culture sono un po’ distanti, nonostante siano tanti i bengalesi in Italia.

Purtroppo è vero. La cultura bengalese è ancora poco conosciuta qui. E per questo motivo negli anni si sono alimentati falsi pregiudizi. Se si pensa ai cittadini del Bangladesh, così come dell’India o del Pakistan, la mente va subito ai venditori di rose, o ai camerieri. Ma non si sa niente di quelle persone, della loro vita, del fatto che spesso quelle persone possiedono delle attività nel loro paese. E, inoltre, si ignorano completamente le tante storie che ci sono, al di fuori degli stereotipi. Io voglio raccontarle: il mio prossimo progetto, a lungo termine, sarà quello di portare alla luce le storie dei miei compaesani, che ogni giorno contribuiscono allo sviluppo di questo paese. Perché la cultura bengalese è ormai parte della cultura italiana.

Senza dimenticare che l’immigrazione va sempre vista dai due lati: quello del paese d’arrivo ma anche il paese d’origine. In Bangladesh, i soldi provenienti dagli emigrati – in Italia, in Gran Bretagna, in Germania o in America – costituiscono una risorsa importante e un sostegno a coloro che rimangono.

Potresti essere un pioniere nel campo; non si ricordano grandi progetti di questo tipo.

È un lavoro a cui sto pensando da tempo, e che di tempo ne richiederà molto. E non coinvolgerà solo la fotografia: in università ho fatto un corso di filmmaking, e mi piacerebbe provare a fare documentari. Anche perché, da fotografi, è difficile sopravvivere senza collaborazioni con aziende. Noi, di fatto, non vendiamo niente.

Credi che sia possibile farlo in Italia? Molte persone della tua generazione pensano ad andarsene dall’Italia.

Credo che, al di là del rispetto che ho per questo paese – di cui, spero, diventerò cittadino l’anno prossimo – la situazione non è semplicissima. Quello che noto personalmente è un distacco della mia generazione dalla politica, dai temi che dovrebbero interessarci.

Però nell’ultimo sciopero per il clima sono scesi in piazza circa un milione di studenti in tutta Italia. Sta cambiando qualcosa?

Mi auguro di sì. È un bel segnale che dà speranza a tutti.

Cosa ne pensi della delicata situazione del Kashmir, da quando il presidente indiano Modi ne ha revocato l’autonomia, alimentando un clima d’instabilità nella regione?

Secondo me il Kashmir dovrebbe avere il suo stato. Ci sono molte similitudini tra il nostro paese e il Kashmir: hanno una loro storia e una loro cultura. Il Bangladesh ha ottenuto l’indipendenza (nel 1971, ndr) a seguito di una guerra, con tutte le conseguenze tragiche che porta con sé. Anche il Kashmir subisce oppressioni dallo stato centrale da decenni ormai; spero che, prima o poi, gli venga perlomeno riconosciuta l’autonomia da Nuova Dehli.

Pubblicato il 29 Settembre 2019
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