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Due bustocchi nel deserto del Marocco: “Qui abbiamo messo su famiglia”

Hanno 63 e 53 anni e sono approdati a Tazentout nel '98 in cerca di una vita nuova: "A Busto torniamo per le vacanze ma volevamo una vita diversa e, per noi, migliore"

marocco viaggio francesco castiglioni

Quando ero bambino, per farmi capire quanto i bustocchi fossero avvezzi a girare il mondo, mio nonno mi raccontava una storiella, che può far ridere, ma visto che lui era stato uno dei primi a viaggiare in Africa vendendo tessuti, io ancora oggi faccio fatica a prenderla come una battuta. Faceva pressappoco così: “Quando il primo esploratore giunse al Polo Nord, piantò la bandiera del suo Paese per rivendicare quelle terre. Poco dopo, si accorse che un po’ più in là c’era un igloo, dal camino fumante. Una volta bussato alla porta, gli aprirono due bustocchi che mangiavano polenta e bruscitt”.

Gli esempi storici comunque abbondano, a cominciare dal pioniere Enrico dell’Acqua, e confermano come bustocchi e bustesi siano come il prezzemolo, li puoi trovare ovunque, anche in mezzo al deserto. Si perché nel caso vi capitasse di volare a Marrakech per poi superare i tornanti delle montagne dell’Atlante per arrivare ad Ouarzazate, vi potrebbe succedere di incontrare Andrea e Anna (i nomi sono di fantasia perchè ci tengono alla loro privacy, ndr), che da vent’anni vivono nella città “porta del deserto” nel sud del Marocco.

Hanno lui 63 e lei 53 anni, entrambi si sono convertiti all’Islam, facendo una scelta di vita che a molti può sembrare assurda o antistorica, ma che per loro è stato il coronamento di un percorso alla ricerca di un posto loro, tranquillo, dove poter vivere serenamente.

La storia comincia quando Andrea, stanco di essere un agente assicurativo, inizia a viaggiare in lungo in largo per il Marocco fino ad arrivare, nel 1998, nel villaggio di Tazentout dove dopo varie peripezie acquista un vecchio riad, nucleo dal quale nascono l’avventura e i due figli della coppia, che oggi hanno 19 e 15 anni.

marocco viaggio francesco castiglioni

«I primi tempi nel villaggio – dice Anna- sono stati difficili, non conoscevamo niente della lingua o della cultura, ma di esperienze di viaggio ne avevamo fatte tante e in più avendo il passepartout della religione siamo stati accolti senza problemi. Ci siamo convertiti in Italia, passando dalla porta dell’alimentazione dopo dei periodi non proprio “stabili”. Anche lo yoga ha giocato un ruolo importante. Andrea ha sempre letto tanto, mi ha introdotto in un mondo nel quale mi sono trovata. Abbiamo ristrutturato il riad, crescendo i nostri figli come quelli delle altre famiglie del villaggio, tornando poi in Italia quando il caldo diventava insopportabile. Nel 2006, quando per Ismaele è arrivato il tempo di incominciare la scuola, vendendo un box a Busto in via Candiani abbiamo comprato una casa qui a Ouarzazate e lo abbiamo mandato in classe, nella scuola pubblica, che qui compie una grande opera anche sociale, visto che l’età media del Marocco si attesta sui 25 anni. Dieci sezioni per quaranta studenti l’una, ma la qualità dell’insegnamento è buona, senza contare che i ragazzi fin da piccoli sono stati seguiti da un istitutore, figura molto importante nella religione musulmana. Adesso il più grande studia economia ad Agadir, sulla costa, dove nel giro di qualche anno puntiamo a trasferirci anche noi, quando il secondo finirà il liceo. Torniamo a Busto solo nell’intervallo tra un anno scolastico e l’altro, rigorosamente in macchina o camper».

Quali sono le motivazioni che li hanno spinti ad intraprendere questo percorso? Anna risponde mettendo l’accento sulla ricerca di una più alta qualità di vita, cosa che secondo loro in Lombardia gli era preclusa dall’ambiente in sé: «Per Andrea una motivazione grande è stato il fatto che a Busto non vedeva un futuro stimolante, anzi quasi soffriva del fatto che le cose rimanessero immutate, ognuno diventa ciò che i genitori gli consigliano di diventare. A noi questa cosa non piaceva, volevamo un posto lontano e tranquillo dove crescere i figli che stando in Italia probabilmente non avremmo avuto. Siamo partiti dal basso, mettendoci alla prova e rischiando, perché forse avevamo bisogno di crearci il nostro mondo tra la fatica della vita rurale e quella di imparare a interagire con gente “ignorante”, che vista la povertà non si fa scrupoli ad aggirarti per avere un vantaggio personale. Per esempio il riad del villaggio ci è costato all’epoca 10 milioni di lire, probabilmente troppo per quanto valeva veramente, ma ce lo siamo fatto andare bene e ho bellissimo ricordi del tempo passato lì, dei colori, del tramonto del sole sulle montagne innevate dell’Atlante: cose che non si possono comprare».

Andrea è un po’ più taciturno, ma quando apre bocca sembra che con lui si possa parlare di tutto. Ci accompagna verso Zagora, verso il grande mare di sabbia e sassi del Sahara, non perdendo mai quel fare un po’ bustocco. Fermandosi ad Agdz, per esempio, scruta negli occhi di un berbero uno sguardo familiare, e chiedendo scopre che quell’uomo è figlio di un suo amico con il quale aveva condiviso il riparo di una tenda una notte di tanti anni fa nel deserto. Ci spiega gli equilibri di un ecosistema così complicato, dei suoi cicli, «quando piove qui- nella permanenza ci ha colpito anche la pioggia che non si vedeva da chissà quanti anni- il PIL nazionale si alza di 1/2 punti perché i palmeti che seguono fiume Draa rendono di più».

Nel salutarci, Andrea e Anna ci rivolgono parole inaspettate: «Vi aspettiamo qui quando volete – dice sempre Anna- avervi visti ci ha fatto un piacere immenso. I fili possono allontanarsi ma non spezzarsi. Mal che vada ci incontreremo in piazza Santa Maria per un caffé».

E noi che dovremmo dire? Ci hanno pagato cene, fatto scorrazzare nel deserto, insegnato tanto della cultura di una terra aspra ma semplicemente mozzafiato. Un “mondo loro” che per tutti i bustocchi che leggeranno questa storia da ora in poi saprà di casa.

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Pubblicato il 09 Dicembre 2019
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