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Il parroco tiene i contatti con facebook. “Possiamo essere Chiesa anche senza mille riunioni”

Don Stefano Venturini, già parroco a Casorate e Arsago e oggi a Milano, racconta il clima surreale che vivono le comunità cristiane, la condivisione delle preoccupazioni. "Forse questa prova ci farà riscoprire che non siamo solo individui, ma comunità"

gallarate generico

«Quando vai a salutare i bambini dell’oratorio, a bere il caffè con le catechiste, quando arrivano i chierichetti in ritardo, sembra di fare una cosa ovvia. Oggi darei una mano per vivere un momento così».

Don Stefano Venturini, già parroco di Casorate Sempione e Arsago Seprio, ha raccontato così la fragilità di questi giorni, visti dalla prospettiva di un sacerdote (lui, milanese di origine, già a Gallarate negli anni Duemila, è oggi parroco di Lambrate).

Prete abituato ai social, senza cedere alla moda, don Venturini nei giorni scorsi ha continuato a postare su alcuni temi a lui cari – tra cui ad esempio le notizie sulle comunità cristiane perseguitate – ma naturalmente si è confrontato anche con il tema del Coronavirus, che crea preoccupazioni e sta incidendo tanto sulla vita delle persone, anche quelle di fede. Anche nelle privazioni, compresa la comunione. Informazioni di servizio – come fanno molti – ma anche condivisione delle paure e delle fatiche: «La più grande penitenza per un parroco è non sentire fisicamente vicina la comunità». Non è certo l’unico che sta facendo questo lavoro, sia sacerdoti e consacrati sia laici (ad esempio qui) stanno cercando di tenere unite le comunità.

Partiamo dagli interventi in diretta facebook: attraggono l’attenzione perché hanno il sapore dell’innovazione, anche se sicuramente sono solo un pezzo del suo lavoro pastorale. Perché ha voluto parlare anche attraverso questo canale?
«Premessa: io ne avrei fatto a meno. i rapporti umani sono fatti di carne e sangue. Pero’ ora siamo in una situazione particolare e dobbiamo utilizzare gli strumenti che la tecnica ci regala senza immaginare che essi possano sostituire i rapporti diretti con gli altri».

Il contesto in cui opera oggi è molto diverso da gallarate o dai due paesi – Arsago e Casorate – di cui sei stato parroco. In uno degli interventi fatti su facebook Lei diceva “darei una mano per vivere momenti di quotidianità”: in una grande città come milano cosa significa l’isolamento richiesto? Riesce ancora ad avere un contatto (parola che sembrerebbe bandita) umano con i tuoi parrocchiani?«Per un prete celebrare senza la presenza della gente e’ surreale. Ti accorgi in questo momento quante cose diamo per scontate, quante persone apparentemente scoccianti sono in realtà portatrici di vita. In questo non credo ci sia molta differenza tra Milano ed il Varesotto. questa situazione ipnotica ci accomuna tutti».

Generico 2018
Una foto postata da Stefano Venturini dalle vie della zona di Lambarte: “Il profeta ed il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare. Conducici Signore presto fuori da questo momento”

L’arcivescovo Mario, usando il tono del paradosso, ha detto che a Milano, città dove sembrano esserci molte possibilità, si è scopre oggi che «ci si può addirittura prendere cura degli altri». Questa crisi ci sta rendendo più attenti agli altri o solo più sospettosi e rancorosi?
«Dopo trent’anni in cui la politica e la sociologia hanno puntato tutte le fiches sullo sviluppo dei diritti civili individuali, questa prova potrebbe farci riscoprire che siamo dentro una comunità di destino comune. E che dobbiamo coltivare anche i doveri sociali. Poi l’uomo fa fatica ad imparare dalle prove e forse si tornerà allo status quo ante. Però non disperiamo».

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Don Stefano Venturini nella canonica di Arsago, 2015

Si è un po’ polemizzato sul divieto alle celebrazioni, contrapposto ai supermercati aperti. al di là dell’opinione, chiedo: non è anche un’occasione per un un cristiano per riflettere sulla fede nella dimensione comunitaria e su quella individuale? Mi veniva in mente, un po’ per contrasto un po’ per analogia, la realtà di un monastero: piccola comunità, eppure per scelta fuori dal mondo
«Chi in questi giorni ha parlato di fine della Chiesa, Chiesa 3.0 con vescovi senza fede ecc, non sa quello che dice e scrive. Il corpo ecclesiale è debole perché clero e volontari su cui si regge la nostra chiesa lombarda sono costituiti da persone con età media di 65 anni. Essere colpiti in numero notevole dal virus oltre al dramma umano metterebbe ko la chiesa di Lombardia per i prossimi 50 anni. Non scherziamoci su. Detto questo, in questi giorni il signore ci ha fatto comprendere che si può essere Chiesa anche senza fare migliaia di riunioni, che dobbiamo semplificarci la vita. Che l’evangelizzazione e la pastorale non sono una sovrastruttura sull’esistenza ma sono un modo nuovo di di vivere la vita di tutti. La clausura imposta ci sta spingendo ad una maggior interiorizzazione della fede. Certo la mancanza dell’Eucarestia è un grande digiuno. Ma forse, anche qui impareremo a valorizzare questo dono che non possiamo pretendere come fosse cosa nostra».

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 09 Marzo 2020
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