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“A friend indeed”: i rifugiati siriani negli scatti di Alessandro Annunziata

Il nuovo progetto fotografico del besnatese Alessandro Annunziata si concentra su delle famiglie siriane bloccate in Turchia da molto tempo, bisognose di cibo e aiuti economici

a friend indeed - scatti di Alessandro Annunziata

Volti e sguardi sofferenti, povertà e tanta solidarietà: questo si scorge nel nuovo lavoro “A Friend indeed” del fotografo Alessandro Annunziata, originario di Besnate.

«Il mio ultimo progetto fotografico riguarda Anas, un ragazzo siriano che ho incontrato in Turchia: ha lasciato Aleppo tra il 2016 e il 2017, dopo che nel 2015 il suo villaggio è stato bombardato dalla coalizione russo-siriana, e per tutto questo tempo ha vissuto a Konya», racconta il fotografo, che nel corso della sua carriera ha immortalato gli sbarchi di profughi a Palermo (estate 2017), la realtà quotidiana di un’associazione giovanile in Bosnia nel 2018 e quella della clinica di Emergency ad Aleppo. Quest’ultima è stata il soggetto di uno dei suoi ultimi lavori fotografici in mostra a Besnate lo scorso febbraio.

«Quando il governo turco ha chiuso l’organizzazione umanitaria in cui Anas lavorava – spiega Annunziata – e quindi ha deciso di aprire una sua associazione che aiuta circa 250 famiglie di Konya, una delle città più antiche della Turchia, in cui ci sono 150mila profughi siriani».

Così Anas ha dato vita al food basket: una o due volte al mese, secondo le necessità, andava a far la spesa per le famiglie meno abbienti, per lo più composte da vedove che non lavorano e dipendenti dai sussidi di 100 lire turche (circa 70 – 100 euro, ndr). In più acquistava il carbone per l’inverno e pagava loro l’affitto: «La città è in mezzo alle montagne, l’inverno è davvero rigido e fa molto freddo». Anas aveva sempre con sé un’agenda, dove si era segnato i contatti di tutte le famiglie che aiutava: ogni giorno le contattava per sapere quali necessità avessero e per incontrarli il giorno dopo.

A FRIEND INDEED: DIETRO GLI SCATTI

L’oggetto degli scatti sono proprio queste famiglie, che hanno lo status di rifugiati non riconosciuto dallo stato turco: «Ogni nucleo famigliare conta una media dai sei ai dieci figli. Avendo una cultura tribale, si sposano tra cugini, quindi due terzi dei figli nasce affetto da malattie mentali, autismo, malattie debilitanti e distrofie muscolari. Quando ne sono affetti i maschi, è socialmente pesante perché, non potendo lavorare, sono un peso per l’intera famiglia». Non hanno un lavoro fisso, «in genere fanno i muratori o i netturbini: in un giorno guadagnano meno di 5 euro».

Il fotografo ha seguito Anas nelle sue spedizioni e consegne alle famiglie, trovandosi faccia a faccia con la miseria e la povertà in cui vivono dei bambini abbandonati dalla madre dopo il matrimonio con un turco, vedove e orfani con gravi disabilità mentali che non sono autosufficienti.

L’EUROPA E L’IMMIGRAZIONE

Annunziata si trovava in Turchia quando avanzava l’esercito siriano-russo a Idlib: «Tutti i ribelli che sono contro al regime di Assad – per la maggior parte civili – sono stati allontanati: ora 5 milioni di persone si trovano in campi gestiti da un governo ribelle. Al loro interno ci sino i miliziani dell’esercito turco». «Questi siriani “fermi” in Turchia, come tutti i rifugiati, non vogliono rimanere dove si trovano», continua, «mi hanno spesso chiesto consigli su dove andare. Una volta Anas mi ha confessato di aver capito di non poter più tornare a casa sua quando Assad ha ripreso dei ribelli a Iblib poco prima della riapertura di Lesbo».

a friend indeed - scatti di Alessandro Annunziata
Anas, nel suo appartamento, dopo aver saputo che il suo villaggio è stato bombardato

 

Il fotografo spiega che in Olanda, Germania e Svezia ci sono diverse comunità siriane: i rifugiati della “prima ora”. «Come tutti i rifugiati “fermi” in Turchia, i siriani non vogliono rimanere dove stanno. Spesso mi hanno chiesto consigli su dove andare. Prima di arrivare in Nord Europa, però – precisa – devono attraversare la tratta che dalla Turchia va in Grecia e poi in Bosnia. Questo succedeva solo qualche anno fa: ora rimangono bloccati a Lesbo». Per arrivare in Bosnia molti siriani, iracheni, afghani e yemeniti impiegano tre o quattro anni «senza varcare il confine»; per Annunziata questo è l’emblema della tragedia: «Quando li incontro chiedo sempre loro da quanto sono in giro e che lavoro facevano nella loro vita di prima, è importante».

Come commenti quello che è successo a Lesbo, a inizio marzo?

«La Turchia ha un ruolo centrale di diga tra Europa e Medio Oriente: quando è successo quello che è successo a Idlib, la Turchia è rimasta sola e ha riaperto i confini: c’è stata quindi una seconda Lesbo, migliaia di profughi hanno varcato i confini nello stesso momento».

È un ricatto all’Europa?

«Sì. La Turchia, che ha in mano l’1% della popolazione siriana rifugiata, usa i rifugiati come arma per ricattare l’Europa e ci riesce benissimo. Oltretutto, non si sa bene dove vadano a finire i soldi stanziati dall’Europa al presidente Erdogan per bloccare il flusso dei migranti».

Che futuro immagini?

«Dipende da quello che vuole fare l’Europa, ma non essendoci una linea comune sulla migrazione Lesbo rimarrà così. Quelli che ora sono al confine tra la Turchia e la Grecia, fino a quando non daranno fastidio, rimarranno là. Con le altre ondate migratorie d’estate, cui abbiamo assistito, crescerà la tensione fino a che non si cercherà di rimandarli indietro».

Come ti spieghi il rifiuto, spesso da parte di quelli che si definiscono sovranisti, verso queste persone?

«Quello che dico sempre io e che auguro a tutti noi che una cosa del genere non ci capiti mai. Fino al giorno prima vivevano una vita normale come la nostra: quello che passano è psicologicamente devastante perché la loro vita non esiste più dove sono nati; devono scappare. Migrare non è una cosa che ti cerchi, ti accade. Da queste persone sovraniste, dopo aver chiesto loro di mettersi nei panni dei siriani, non ho mai una risposta».

Lo scorso 22 maggio Anas è stato arrestato dalla Polizia turca e deportato a Idlib. Un avvocato italiano sta cercando di fare ricorso alla Corte dei Diritti dell’uomo per cercare di farlo venire in Italia, ma è ancora tutto incerto.

 

Nicole Erbetti
nicole.erbetti@gmail.com
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Pubblicato il 26 Settembre 2020
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