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14 dicembre 1944, la battaglia e la strage di Suno

Per una settimana oltre mille nazisti e fascisti diedero la caccia ai partigiani. Lo scontro principale avvenne a Suno, dove i tedeschi uccisero poi nove contadini innocenti

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«Il 14 dicembre io ero in un prato vicino alla fattoria. Arrivato un treno, dai vagoni saltarono fuori i nazisti che iniziarono a sparare sui contadini».
La data è ricordata oggi nell’intitolazione della piazza di Suno, placido paese immerso nella campagna novarese, sulle prime ondulazioni delle colline che accompagnano verso il Lago Maggiore.

Il 14 dicembre è quello del 1944. Il giorno della strage dei contadini, uccisi nei campi e nelle cascine dalla furia dei reparti nazisti e fascisti. Ma è una data ricordata anche come “battaglia di Suno”, mettendo l’accento sull’altro aspetto: la Resistenza attiva all’invasore tedesco.

Allora si era già dentro all’inverno più duro, quello del 1944-45: centinaia di partigiani in armi combattevano in quella fase per sopravvivere, anche se non mancavano del tutto le azioni offensive. Giusto un mese prima il comandante delle forze Alleate in Italia aveva lanciato per radio un messaggio, divenuto noto come “Proclama Alexander”, che era suonato come doccia fredda sulle speranze dei partigiani e resistenti del Nord Italia.

Il feldmaresciallo inglese Harold Alexander li aveva messi di fronte alla necessità di «fronteggiare un nuovo nemico, l’inverno», che sarebbe stato «molto duro per i patrioti, a causa della difficoltà di rifornimenti di viveri e di indumenti» che gli Alleati non avrebbero potuto lanciare dai loro aerei. L’invito a «cessare le operazioni organizzate su larga scala» prevedeva che i partigiani tornassero a casa o si nascondessero senza farsi vedere. Un invito impossibile da attuare, visto che molti erano ricercati in quanto antifascisti o renitenti alla leva fascista.

Le brigate di patrioti avevano sfoltito i ranghi, dove possibile, e si erano a volte ritirate in zone montane meno esposte alle insidie. Fedeli anche alle disposizioni degli Alleati («approfittare però ugualmente delle occasioni favorevoli per attaccare i tedeschi e i fascisti») molte brigate avevano però continuato a operare con piccoli gruppi anche nelle zone più esposte, anche in pianura. Così era successo anche nel Medio Novarese, la zona di colline tra Borgomanero, Oleggio e la pianura di Novara. Una zona non facile perché non c’erano molti boschi e la rete di strade piuttosto fitta consentiva ai fascisti di spostarsi con autocarri e colpire d’improvviso.

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Partigiani nell’ampia aia della Bindellina, grande cascina vicino a Conturbia (oggi è un golf club)

A inizio dicembre la zona vicino a Suno era presidiata da diverse squadre della 81a brigata Garibaldi “Volante Loss”, della 6a brigata “Nello”, della 82a Osella, della 112a “Servadei”, della 124a “Pizio Greta”: erano plotoni avanzati, distaccamenti tenuti in zona da Brigate più ampie che tenevano il grosso in zone di montagna del Mottarone e della Valsesia. Quanti erano? 220-250 uomini in tutto. Alle formazioni piemontesi si aggiungeva poi un plotone particolare, la Prima Brigata Lombarda della Montagna, formata da lombardi dell’Alto Milanese (zona di Gallarate, Busto Arsizio e Samarate) che si erano stabiliti in una cascina vicina a Mezzomerico.

Mille nazifascisti contro trecento partigiani

Contro i partigiani i nazifascisti mossero forze ingenti , per “ripulire” tutta la zona compresa tra Borgomanero a Nord, Borgoticino e Oleggio a Est, Cavaglio d’Agogna e Fara Novarese a Ovest (verso la Valsesia; in quella località è scattata la foto di apertura dell’articolo).

Da Arona e da Novara si mossero cento uomini del 20° Reggimento SS Polizei, oltre trecento della X MAS, circa 550 della Guardia Nazionale Repubblicana (compresi paracadutisti), un centinaio di marinai tedeschi. Totale: oltre mille armati. Non i “diecimila” o “seimila” citati nelle pubblicazioni partigiane, ma comunque almeno quattro volte i patrioti e dotati tra l’altro di un treno blindato, un’autoblindo e diverse mitragliere pesanti da 20mm.

La battaglia intorno a Suno

Gli scontri iniziarono nella serata del 13, ma la vera battaglia divampò il 14: i partigiani della brigata “Loss” avevano deciso di resistere e avevano piazzato sul campanile una mitragliatrice pesante Saint-Etienne.

La mattina i nazifascisti si avvicinano man mano, forti del predominio in termini numerici, oltre che di munizioni per le armi. In tarda mattinata entrano nelle prime case del paese, bastano poche decine di metri per arrivare nella piazza, da cui spara la mitraglia partigiana (secondo alcune fonti la manovra Angelo Pegoraro, che sarebbe caduto un mese dopo a Gallarate). Questione di minuti, scontro ravvicinato:

“Ma il mitragliere non scendeva, aveva ancora 50 colpi la vecchia mitraglia e tutti dovevano aspettare che quel diavolo scendesse dal campanile per ritirarsi, mentre già da mezz’ora il nemico era in paese. Persino le campane fatte bersaglio delle mitragliatrici autotrasportate, tintinnavano, ma la nostra mitragliatrice rispondeva sempre: ancora 20 colpi, un’ultima raffica, e poi un fugone attraverso le vigne. È mezzogiorno”

Spesso i tedeschi dipingevano i partigiani come codardi che colpivano di soppiatto: era la tecnica della guerriglia, a cui i nazifacisti opponevano il terrore delle rappresaglie. Ma anche a Suno, nonostante i partigiani avessero combattuto “a viso aperto”, tedeschi e fascisti si abbandonarono a una violenza indiscriminata contro i civili: «Soldati armati fino ai denti passavano di casa in casa mettendo a soqquadro tutte le abitazioni, rovistando nei cassetti, prendendo indumenti in lana. Molti parlavano tedesco, ma qualcuno italiano» ricordava la maestra Linuccia Doniselli.

La strage dei civili

Pierina Ferrari abitava invece a Forno, un gruppo di case appena fuori Suno: «Molta gente il 14 dicembre scappava verso i boschi passando da casa mia e noi preoccupati chiedevamo a tutti che cosa stesse succedendo; ci avvisarono dell’arrivo dei nazisti per il rastrellamento. Tutti gli uomini fuggivano, alcuni perché avevano disertato dal servizio militare». Ferrari vide anche alcuni partigiani che non presero parte alla battaglia: «Tre giorni prima del 14 dicembre alla cascina erano arrivati i partigiani che si erano nascosti tre o quattro per stalla e avevano passato lì la notte. Quando il 14 dicembre seppero dell’arrivo dei tedeschi abbandonarono tutto e fuggirono».

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La lapide in piazza 14 dicembre a Suno. Sotto la dedicazione seguono i nove nomi di civili uccisi

Ernesta Del Ponte era stata testimone diretta dell’arrivo del treno blindato e delle prime uccisioni di civili: «Io e due vecchietti che lavoravano con me scappammo verso la Cascina Baraggioli poco distante. Intanto altri soldati andarono alla cascina Giavarota; lì si era nascosto in un pollaio un mio caro amico, Remo Poletti. I tedeschi lo trovarono e lo uccisero, aveva due anni meno di me, 20, era un giovane partigiano. Nei boschi si erano nascosti molti uomini tra cui mio zio Giovanni Ramazzotti, che fu colpito alla testa da un proiettile e ucciso con altri compagni. Due miei fratelli, Emilio e Antonio Del Ponte, invece di essere uccisi, furono portati alla prigione di Novara. Sempre il 14 dicembre alcuni uomini furono portati alla casa Voli come ostaggi, mentre sul campanile c’erano i mitra dei soldati che sparavano a chi passava. Una spia avvertì i nazisti che nella cascina Motto si nascondevano i partigiani, così durante la notte i tedeschi sbagliarono cascina e si introdussero nella mia casa. Mio fratello si era nascosto sotto il materasso, i nazisti cercarono per tutta la casa ma non lo trovarono».

I nomi dei contadini uccisi dalla “cieca rabbia teutonica” si leggono ancora nella lapide sulla piazza al centro del paese: Carlo Bolchini, Pietro Bolchini, Giovanni Ramazzotti, Isacco Maffioli, Emilio Gaboli, Luigi Andorno, Gaudenzio Ramazzotti, Luigi Ramazzotti, Antonio Giannuso.

I partigiani si sfilano, pronti a riprendere l’iniziativa

La brigata partigiana  “Loss” perse quattro ragazzi in battaglia. Quattordici giovani – tra sospetti partigiani e civili estranei – furono deportati, due di loro morirono giovanissimi a Mauthausen. I patrioti si erano scontrati con i nazifascisti a Suno e in altre località ma erano riusciti a sottrarsi al rastrellamento e puntare verso la Valsesia o il Mottarone.

I lombardi della Prima Brigata della Montagna si difesero il 14 agendo con piccoli gruppi mobili. Poi da Mezzomerico puntarono ad Est, verso il Ticino: un comportamento anomalo, visto che il fiume era un ostacolo da superare e visto che la zona dell’Alto Milanese dall’altra parte del corso d’acqua era pesantemente presidiata da tedeschi e repubblichini. In effetti furono individuati dai tedeschi il 17 dicembre, nella zona della valle sotto Pombia, e si difesero fino al tramonto. Poi – approfittando del buio e del fatto che i tedeschi evitavano l’azione di notte – riuscirono a passare il Ticino.

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Partigiani della Prima Brigata Lombarda a Mezzomerico, dopo il 25 aprile 1945: il comandante Antonio Jelmini”Fagno”, di Ferno; Enrico Mazzetti “Ras”, di Verghera; Pierino Genoni “Oscar”, di Samarate

Nel corso di quei giorni i tedeschi della SS Polizei non ebbero perdite, mentre ridotte furono quelle fasciste. Il rastrellamento finì una settimana dopo l’azione a Suno, il 21 dicembre: «senza apprezzabili risultati», se non aver allontanato i “banditi” solo per qualche giorno.

Tutte le brigate ripresero infatti rapidamente le azioni: quelli della Servadei attaccarono alcune pattuglie ad Arona e Borgoticino già negli ultimi giorni di dicembre, la Prima Brigata Lombarda il 27 dicembre tentò un colpo di mano alla fabbrica aeronautica Agusta di Cascina Costa e subito dopo attaccò la caserma della GNR a Lonate Pozzolo, nella notte di capodanno del 1945.

Era l’inizio dell’anno della Liberazione. Forse intuivano – o forse no – che quei giorni di freddo, scontri e sofferenza erano “alba della rinnovata Italia libera”, come ancora oggi si legge nella lapide sulla piazza del paese di Suno.

 

Fonti
*  Guardando il gran carro, di Arrigo Ruguccio Gruppi “Moro”, Edizioni Nuovi Equilibri, Viterbo
*  La Prima Brigata Lombarda, di Antonio Jelmini, Odradek, Roma, 2002
* La battaglia di Suno e di Vaprio, in La squilla alpina, 30 dicembre 1945 (da cui è tratta la citazione evidenziata nel testo)
Antologia dell’antifascismo e della Resistenza novarese, a cura di Enrico Massara, Grafica Novarese, 1984
Suno: 14 dicembre 1944, a cura di Circolo Arci di Suno, Istituto Comprensivo di Momo, Scuola media di Suno, in collaborazione con Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea, Suno 2004
SS-Polizei Regiment 15 in Italia: Piemonte e Lombardia, Raffaella Mazzarelli, StreetLib

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 14 Dicembre 2020
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