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I bambini imparano l’altruismo leggendo e dialogando di emozioni

Uno studio dell'Università Milano-Bicocca rivela che già prima dei 3 anni i bambini possono apprendere capacità empatiche

bambini affetto

Già prima dei tre anni i bambini possono apprendere capacità empatiche e altruistiche, grazie al dialogo sulle proprie e altrui emozioni e sul significato dei comportamenti prosociali. Questo è il risultato di una ricerca condotta presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” di Milano-Bicocca, dal titolo “Promoting prosocial behavior in toddlerhood: A conversation-based intervention at nursery”, appena pubblicata sul Journal of Experimental Child Psychology.

Il gruppo di ricercatori, composto da Elisa Brazzelli, Ilaria Grazzani e Alessandro Pepe, ha messo a punto il programma TEPP – Toddler Empathy and Prosociality Program – per promuovere nei piccoli l’empatia e i comportamenti prosociali, ovvero quelle azioni orientate al benessere altrui senza trarne un vantaggio personale.

Il programma è basato sulla lettura di ‘storie prosociali’ e sulla successiva conversazione con piccoli gruppi di bambini relativa sia a stati interni come emozioni, desideri e intenzioni sia a condotte prosociali.
I partecipanti allo studio sono stati 142 bambini, di età compresa tra i 21 e i 36 mesi frequentanti dieci nidi di province lombarde, e i loro genitori a cui è stato chiesto di compilare questionari.

La ricerca si è svolta in tre fasi: iniziale somministrazione di prove ai bambini e consegna di questionari ai genitori (pre-test), fase di intervento (training) e fase finale in cui sono state riproposte le prove e i questionari (post-test).
La fase di training o intervento, della durata di circa due mesi, ha previsto la realizzazione di attività in piccolo gruppo condotte dalle educatrici opportunamente formate e supervisionate. Tali attività consistevano nella lettura di storie prosociali ai piccoli, a cui seguivano attività differenziate in base alle condizioni sperimentali: conversazione su emozioni e comportamenti prosociali dei protagonisti (Condizione 1); conversazione su stati fisici e azioni concrete presenti nelle storie (Condizione 2); gioco libero (Condizione 3).

I ricercatori hanno dimostrato che i bambini della Condizione 1, cioè quelli che hanno svolto attività di conversazione su stati interni e comportamenti prosociali, hanno migliorato significativamente le loro abilità empatiche e prosociali rispetto ai coetanei posti nelle altre condizioni sperimentali.

In particolare, i genitori dei bambini coinvolti nella conversazione sul mondo interno e sui comportamenti d’aiuto hanno osservato nei loro figli un incremento nella manifestazione di condotte empatiche e prosociali, come ‘volgere lo sguardo verso un altro bambino che piange’, ‘abbracciare le persone quando sono dispiaciute’ o ‘condividere i giocattoli con un’altra persona’. Tali bambini durante i compiti sperimentali hanno mostrato un incremento statisticamente significativo nelle risposte di aiuto strumentale, condivisione di materiali e conforto o consolazione, rispetto ai bambini degli altri gruppi sperimentali.

«Le attività conversazionali implementate nel programma TEPP – il primo programma di promozione della prosocialità al nido – hanno incoraggiato lo scambio tra punti di vista diversi e facilitato il riconoscimento del legame tra mondo interno e manifestazioni esterne, – spiega Ilaria Grazzani, docente di psicologia dello sviluppo e dell’educazione – aiutando così i bambini a mettere in atto comportamenti di aiuto, condivisione e conforto in risposta ai bisogni dell’altro. Già nella prima infanzia è dunque possibile promuovere comportamenti sociali a valenza positiva che sappiamo essere associati, nel corso dello sviluppo, a benessere soggettivo, popolarità tra i pari, diminuzione di frequenza di comportamenti ostili ed aggressivi, autoefficacia emotiva, autostima e riuscita scolastica».

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Pubblicato il 21 Dicembre 2020
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