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Stregavarese: per raccontare l’amore perduto ad Auschwitz le parole non sono finite

Edith Bruck ha usato la scrittura per mostrare quel dolore che le persone non volevano ascoltare. Il suo libro "Il pane perduto" (La nave di Teseo) è tra i semifinalisti del Premio Strega

Strega Varese 2021

«Ci vorrebbero parole nuove, anche per raccontare Auschwitz, una lingua nuova, una lingua che ferisce meno della mia, natia». Quelle parole Edith Bruck le ha trovate e donate al lettore. 
”Il pane perduto” (La nave di Teseo), semifinalista al Premio Strega, non è solo il racconto di una sopravvissuta alla Shoah, lo sterminio degli ebrei d’Europa da parte dei nazifascisti, ma è molto di più. È un viaggio nella rinascita di una donna, che nel 1944, appena tredicenne e ultima di sei figli, da un piccolo villaggio ungherese è stata catapultata con la sua famiglia all’inferno.

La piccola “Ditke” è così costretta a diventare adulta, mentre mamma Deborah e papà Adam invecchiano a soli 48 anni: «Noi figli di colpo eravamo già genitori dei nostri genitori». La sua identità viene ridotta ad un numero, l’11152. Scampa alle selezioni e sopravvive ai trasferimenti forzati che la porteranno prima a Dachau e infine a Bergen-Belsen. Al suo fianco c’è sempre Judit, la sorella più grande, con cui stabilisce un patto di sopravvivenza, alimentato dai ricordi della madre, del padre, del «pallido» Jonas e degli altri familiari, di cui le due ragazze non sanno più nulla. È un patto per la vita e in nome della famiglia che permetterà loro di sopravvivere fino alla liberazione avvenuta a Bergen-Belsen il 16 aprile del 1945 da parte degli americani.

IL MONDO NON ASCOLTA

Come è accaduto a molti sopravvissuti al loro ritorno dai campi di sterminio, anche Ditke e Judit non trovano, dopo tanto dolore, l’accoglienza e la comprensione che si aspettano. Il mondo non solo non vuole chiedere scusa per tutto quell’orrore ma non vuole vedere e cerca di dimenticare in nome di una nuova vita. Come se la quotidianità fatta di fame, violenza, paura e morte vissuta dai deportati fosse la stessa di chi era rimasto, seppur in guerra, nella propria casa. Nemmeno il ritorno in Ungheria e il ricongiungimento con il resto della famiglia, le sorelle Mjrjam e Sara e l’amato fratello David, riescono a dare un senso alla salvezza di Ditke e Judit perché «le vere sorelle e fratelli sono quelli dei lager». Solo loro possono capire ciò che è stato. E così per Ditke l’unico modo per farsi ascoltare è affidare le parole, rimaste inascoltate dagli uomini, alla carta, la sola in grado di accogliere tutto, anche l’indicibile.

Judit invece aderisce alla causa sionista e decide di ritornare in Eretz Israel. È la vera rinascita dopo la Shoah e anche la loro prima separazione che durerà poco perché l’irrequietezza di Ditke la porterà a sua volta in Palestina, dove si sposerà due volte, per poi ripartire di nuovo verso la vecchia Europa, insieme a una compagnia di ballo. Conoscerà la Turchia, la Grecia, la Svizzera e l’Italia, prima Napoli e poi Roma, dove si stabilirà definitivamente.

LA PERDITA DEL PANE

La nuova diaspora della famiglia continua con le terze generazioni, accompagnata dall’eterna nostalgia di Israele, quella terra promessa che faceva tanto commuovere Deborah, l’amata madre sempre presente nei loro pensieri. È lei di fatto a dare il titolo al libro. Quando arrivano i gendarmi ungheresi ad arrestarli, Deborah sta cucinando il pane, la cosa più preziosa per i poveri e simbolo di appartenenza alla famiglia che quel pane condivide per la vita. Deborah fino all’arrivo ad Auschwitz continuerà a ripetere «il pane perduto». Un grido sussurrato e inconsolabile, presagio di una perdita più profonda, quella della sua stessa famiglia, destinata a ricongiungersi grazie alla memoria di chi è sopravvissuto.

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Scheda libro

Titolo: Il pane perduto
Autore: Edith Bruck
Casa editrice: La nave di Teseo, 2020
Prezzo di copertina: 16 euro

 

L’autrice, Edith Bruck, presenterà “Il pane perduto”, venerdì 28 maggio alle ore 18.30 in diretta sulla pagina Facebook di VareseNews per il progetto Strega Varese.

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it
Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.
Pubblicato il 28 Maggio 2021
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