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I due giorni in cui la stazione Centrale di Milano restò senza treni

Era un weekend del 1984: sul piazzale 250 operai e tecnici cambiarono completamente il sistema di controllo degli scambi. Questo sabato succederà alla stazione di Venezia

stazione Milano Centrale

Dalle 23 di venerdì 2 luglio chiude completamente, per un giorno e mezzo, la stazione ferroviaria di Venezia Santa Lucia: la città lagunare rimane isolata dal punto di vista dei treni e la stazione riaprirà domenica alle 10.

I lavori programmati servono a sostituire l’impianto di controllo della stazione, che manovra scambi e segnali, quelle specie di “semafori” che indicano al macchinista come comportarsi.

A Venezia Santa Lucia il vecchio “Apparato Centrale Elettrico a Itinerari”, entrato in funzione 40 anni fa, viene sostituito con un nuovo apparato computerizzato Acc-M, che è già stato installato in una palazzina di Rfi a Mestre.

I blocchi totali delle grandi stazioni sono rarissimi, perché ovviamente impattano su una intera città e su tutto il territorio circostante da cui arrivano i treni: per questo, in modo un po’ paradossale, le innovazioni tecnologiche arrivano spesso prima nelle piccole stazioni e poi nei grandi snodi cittadini.

A Milano è successo 37 anni fa: a cavallo tra marzo e aprile del 1984 l’enorme stazione Centrale rimase senza treni per due giorni.
Anche in quel caso era prevista la sostituzione del complesso apparato di controllo a distanza di binari, segnali luminosi: servivano 48 ore per collegare tutto alla “torre di controllo” centralizzata, un edificio realizzato appositamente vicino all’attuale binario 1, per ospitare il nuovo Acei, sigla che sta per Apparato Centrale Elettrico a Itinerari.

Generica 2020
All’interno di una delle vecchie cabine con leve elettromeccaniche, dove lavoravano contemporaneamente 130 addetti

La nuova “torre” sostituiva il complesso sistema di ben sette cabine, costruite all’origine della stazione , nel 1930-31: qui per 53 anni generazioni di operatori avevano manovrato a distanza gli scambi e i segnali, allora con un sistema elettromeccanico che richiedeva di attivare una a una le leve di comando di ogni singolo scambio o indicatore luminoso.

Le tre cabine principali avevano persino due livelli: centinaia di leve, con capicabina che s’interfacciavano con le altre cabine e con le altre stazioni di provenienza dei treni più vicine, come Lambrate o Greco.

Generica 2020

Una delle tre cabine principali su due livelli. Foto Stagniweb (qui)

L’operazione di rinnovo scattò tra sabato 31 marzo 1984 e domenica 1 aprile: alle 2 di notte, partiti gli ultimi treni, sul gigantesco piazzale di Centrale iniziarono a lavorare 250 operai e tecnici, che in 48 ore avevano il compito di «far entrare Milano Centrale tra le stazioni più moderne d’Europa».
Dopo le operazioni preliminari e la rimozione di tutti i vagoni e locomotive presenti, all’alba di sabato 31 le prime squadre iniziarono a disattivare i circuiti elettrici collegati ai binari nella zona ovest dell’immenso piazzale di Milano Centrale (i binari principali sono ventuno).

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Venticinque uomini erano impegnati a disattivare le vecchie cabine (quelle a cavallo dei binari esistono ancora e sono anche state restaurate nel 2017). 
Il grosso degli operai era però sul piazzale: venti squadre da tre uomini ciascuna lavorano ai circuiti di binario, che “segnalano” al sistema di controllo la presenza di un treno in un determinato punto. Altre ventidue squadre (nella foto sotto) dovevano occuparsi dei motori elettrici che muovono degli scambi, che a Milano Centrale erano allora ben 504.

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Sette squadre dovevano occuparsi degli allacciamenti elettrici dei nuovi segnali che indicavano (e indicano ancora oggi) ai macchinisti il via libera, lo stop, un rallentamento, lo spazio a disposizione per manovrare al capolinea. Quattro squadre si occupavano di una particolare cabina (la H) e una doveva occuparsi di allacciare al nuovo sistema i “blocchi automatici”, vale a dire il sistema di autorizzazioni da e per le altre stazioni intorno a Centrale.

Generica 2020

C’erano infine 75 operai che si occupavano di servizi vari, anche perché si doveva evitare intoppi ed essere pronti per l’alba di lunedì 2 aprile, quando centinaia di treni sarebbero arrivati da tutta Italia e da pressoché ogni provincia lombarda. Nei due giorni furono deviati su altre stazioni capolinea milanesi 800 treni, alcune corse locali furono sostituite con autobus che arrivavano ad esempio nella periferica stazioncina di Porta Vittoria (oggi scomparsa).

Generica 2020
Il piazzale dei binari, con il nuovo apparato, venne diviso in quattro

Già alle prime luci di domenica iniziarono le primissime prove dei collegamenti alla nuova “torre di controllo” che ospitava l’ACEI, l’apparato allora all’avanguardia, che era in parte elettrico e in parte elettronico: comprendeva 32.400 relè e un computer con RAM da 192 MegaByte e spazio disco da 10MB (numeri oggi risibili, allora avanzati).

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La “sala relè”

L’apparato di controllo è detto “a itinerari” perché agli operatori è sufficiente premere due pulsanti (da un punto x a un punto y) e il sistema automatizzato comanda tutti gli scambi e i segnali per formare il percorso che il treno deve percorrere.

cabina Acei Milano Centrale
Dentro alla cabina Acei l’iscrizione in latino ricorda con solennità la data del 2 aprile 1984, con il passaggio “da più cabine a una sola” (foto F.Piotti)

Dalla cabina Acei vengono comandati 1140 tra scambi, segnali e sezioni di binario e – come in un gioco a incastri – rendono possibili 6400 percorsi diversi.
Per gestire i movimenti dei treni bastarono da quel momento una sessantina di operatori, meno della metà di quelli che c’erano prima, e il numero massimo di treni gestibili in un giorno saliva da 400 circa a 650.

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La sala operativa principale nel 1984

La gigantesca operazione fu completata nella notte tra domenica 1 e lunedì 2 aprile.
All’alba di lunedì la stazione riprese a vivere, come ogni giorno dal 1931 (e fino ad oggi): alle 5.04 il primo treno – un diretto Venezia-Milano – entrò in stazione, al binario numero 9.

Una curiosità riguarda proprio la numerazione dei binari: un tempo il “conto” partiva dal lato della Sala Reale, verso piazza Luigi di Savoia e via Ferrante Aporti.
Con la costruzione del nuovo sistema si decise per logica di cambiare l’ordine, per far sì che il primo binario (dove ora di solito partono e arrivano i treni per Domodossola) fosse di fronte alla nuova “torre di controllo”.

Il sistema in uso in Centrale, l’Acei, è divenuto nel frattempo obsoleto ed è stato in parte rinnovato (sopra: la sala operativa come è ai nostri giorni, foto milanosmistamento.com).
Rfi – la società Fs che si occupa dei binari – li sta man mano sostituendo, anche se in alcuni impianti questo è piuttosto complesso: ad esempio l’apparato in uso nell’importante stazione di diramazione di Gallarate risale agli anni Sessanta ed è in attesa di sostituzione.

Dopo il varo del nuovo sistema a Centrale, la mattina del 3 aprile 1984, il quotidiano La Stampa descriveva lo scorso titanico di quei due giorni ma tornava poi subito ai problemi aperti, come le perdite d’acqua dalle volte e la presenza di “tossicomani che ogni sera fanno collette sul treni in partenza chiedendo oboli e spiegando di volerli usare per raggiungere qualche comunità terapeutica più o meno lontana”.
Erano i problemi del tempo, poi in qualche modo superati e sostituiti da altre questioni.

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Chiusa quella parentesi di 48 ore, nell’articolo di giornale sembrava quasi già messa in ombra la portata epocale dell’intervento sul cuore tecnologico della stazione.
Il sistema gestisce ancora oggi seicento treni, portando decine di migliaia di persone ogni giorno: tutto questo è ancora in parte il frutto del lavoro svolto in quei due giorni, da decine di operai.
Che allora portavano orgogliosamente il cappello con il monogramma alato FS.

 

(Le immagini non accreditate sono tratte da questo video prodotto dalle FS nel 1984)

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 01 Luglio 2021
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