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Nell’officina di Volandia a Malpensa rinasce l’S.55X, l’idrovolante di Italo Balbo

È un lavoro di carta vetrata, a togliere da un lato, e di spessore d’aggiungere dall’altro. Questione di millimetri da aggiustare, per l’ingegnere Aristide Tagliarini: nella vita ha progettato missili e aerei, ma oggi ha a che fare con profili in legno in un capannone delle officine di Volandia, il museo del volo vicino all’aeroporto di Milano Malpensa.
Insieme ad una manciata di altri instancabili volontari, Tagliarini è al lavoro da sette anni per dare corpo a un sogno: ricostruire il Siai S55X, l’idrovolante con cui Italo Balbo attraversò l’oceano, nella “trasvolata” del 1933 da Orbetello a Chicago.

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Il Siai S55X a Volandia 4 di 16

È un vero esemplare ricostruito da zero, usando le stesse tecniche degli anni Trenta. «L’S.55 è un catamarano volante», sintetizza l’ingegnere Filippo Meani, che per una vita ha lavorato alla Siai Marchetti di Sesto Calende e che ora è un po’ il coordinatore dei volontari, in grandissima parte ex dipendenti della Siai.
Perché un catamarano? Perché l’aereo era un idrovolante (decollava e atterrava sull’acqua, non da terra) e perché è dotato di due scafi, “tenuti insieme” da una grande ala.

Savoia Marchetti Siai S55 idrovolante

Ed è guardando gli scafi che si può capire la grandezza dell’impresa in cui questo gruppo di appassionati pensionati si è imbarcato nel 2015. «Un’azienda che produce yacht ci aveva proposto di realizzarli in vetroresina. Ci avrebbero messo poco, ma abbiamo detto di no» racconta con orgoglio Meani. Perché gli ingegneri non volevano solo un aereo uguale fuori, volevano che fosse identico all’originale anche dentro: realizzato in legno, un pezzo alla volta, migliaia di centine e montanti messi insieme a mano.

Il capolavoro dell’ingegner Marchetti a Sesto Calende

Riavvolgiamo il nastro al 2015. È l’anno del centenario della Siai, la Società Idrovolanti Alta Italia. «In quell’anno si prese la decisione di realizzare una copia museale dell’S55X» spiega Meani. Un omaggio a uno dei progetti più particolari dell’ingegner Alessandro Marchetti, reso celebre appunto dalla trasvolata atlantica del 1933.

Siai S55X Volandia
1933: Luigi Capè, fondatore della Siai, con Italo Balbo e l’ingegner Marchetti

«Partimmo dai disegni originali dell’ingegner Marchetti, che custodiamo come gruppo Seniores della Siai».
Gli ingegneri hanno messo mano ai disegni, li hanno restaurati, integrarono le parti degradate, ne hanno fatto anche modelli in 3D, «usando il software Catia, sviluppato dalla Dassault, che consente di passare dal disegno cartaceo ad un file per la macchina a controllo numerico».

Siai S55X Volandia

Ricostruire da zero

Oltre all’instancabile gruppo di volontari, il progetto dell’S55X coinvolge anche molte aziende della zona tra Lago Maggiore e Malpensa, legate proprio all’industria aeronautica ancora oggi molto radicata.
La prima sezione completata sono stati i piani di coda (la parte posteriore dell’aereo), costruiti «grazie al contributo della Aerosviluppi di Giuseppe Blini e della OVS di Giuseppe Villella» e oggi già esposti al museo di Volandia, accanto al castello motore, la struttura che sosteneva i due motori Isotta Fraschini, uno con l’elica traente anteriore e uno con l’elica che spinge, dietro. Anche in questo caso Le eliche sono state realizzate da un’azienda locale, quella di Gianluigi Merletti di Arsago Seprio, con alluminio della Aviometall (altra fabbrica legata all’industria aeronautica).

Siai S55X Volandia

Meani mostra un dettaglio: «Il motore di avviamento Garelli è l’unica parte originale che abbiamo inserito nella nostra copia». A differenza del motorino di avviamento di un’auto, quello di un aereo deve trascinare una cilindrata molto più grande ed è quindi un vero motore: nel dopoguerra divenne il pezzo intorno a cui la Garelli costruì il suo primo ciclomotore, destinato a grande fortuna. 
E i grandi motori dell’aereo? In questo caso una riproduzione completa sarebbe stata impossibile e quindi sono sostituiti da copie realizzate con Ureol, poliuretano ad alta densità (300 kg per metro cubo), fresato nelle forme dalla Plyform di Dormelletto, sempre nella zona vicino a Sesto Calende.

Siai S55X Volandia
Un motore Isotta Fraschini Asso 750, conservato a Volandia: è il tipo di motore usato dall’S.55

Dopo queste prime parti, il “cantiere” dell’S55X è entrato nel vivo: nel capannone officina a Volandia, di fronte alle piste di Malpensa, i volontari si sono messi al lavoro per costruire i due scafi e le ali. O meglio: la grande ala, al singolare, come correttamente si dovrebbe dire.

L’ultimo falegname e gli ingegneri con la carta vetrata

A distanza di un anno dalla “scadenza” per la presentazione dell’aereo completo, fervono i lavori, «qui in officina due giorni a settimana, il martedì e il giovedì, tutto il giorno» spiegano i volontari.
Dei due scafi ne è stato già completato uno, l’altro è in lavorazione. «Ognuno dei due è lungo dieci metri, come una gondola» spiega Meani. «Alto due metri e largo altrettanto, 500 chili di peso». La struttura interna è di legno, così come il rivestimento esterno, fatto piegando il compensato con grande maestria, acquisita nel tempo: la tecnica costruttiva è quella degli anni Trenta e nessuno dei volontari ci aveva mai avuto a che fare. Anche se un legame con la fabbrica Siai di allora esiste: «Fausto Franchini, falegname di Castelletto Ticino, figlio di un falegname della Siai».

Siai S55X Volandia

Mentre un gruppo di volontari dà forma al grande scafo, un altro gruppo lavora alla grande ala, 24 metri di larghezza, un “puzzle” che si compone mettendo insieme centine e montanti. Alcune parti sembrano un pezzo unico, ma in realtà sono “cave” all’interno, formate a loro volta da parti più piccole. «Marchetti era molto raffinato nell’alleggerimento delle strutture» spiega l’ingegner Tagliarini. Ma quanti pezzi sono? «Ad oggi sull’ala siamo a 1500 pezzi, ma li stiamo contando, non sappiamo dirlo esattamente».

Quando sarà finita, l’ala avrà una superficie di oltre 90 metri quadri, le dimensioni di un appartamento in condominio. Al centro si riconosce già oggi lo spazio della cabina, spazio piccolissimo dove trovavano posto pilota e copilota, quasi sdraiati. «E affrontavano così anche 7-8 ore di volo, pensiamo alla traversata dell’Atlantico».

Sull’aereo le insegne di Italo Balbo

La “Crociera del decennale” del 1933 è un mito dell’aviazione italiana, con 25 idrovolanti S.55 coinvolti, centoquindici uomini a bordo.
A guidarli c’era Italo Balbo, ministro dell’Aeronautica, “padre” dell’arma azzurra, divenuta indipendente dall’esercito nel 1923 (la crociera transatlantica celebrava appunto il decennale di fondazione dell’allora Regia Aeronautica). Oggi Balbo è al centro di una polemica dopo la decisione di dedicargli un aereo di Stato Si può ricordare Balbo aviatore distinguendolo dal Balbo quadrunviro del fascismo e dal violento squadrista che a inizio anni Venti?

A Volandia non hanno dubbi sul fatto che si può distinguere: il presidente Marco Reguzzoni sottolinea il suo ruolo di oppositore alla leggi razziali, l’opposizione alla guerra a Francia e Regno Unito.
L’ingegner Meani invece sottolinea proprio l’evento del 1933, il legame con gli Usa, mostra una foto a Chicago («Vede, non fa il saluto romano») e una citazione in cui rivolgendosi agli emigranti italiani “ospiti della grande America” li invitava ad essere “la parte eletta dell’antica e della nuova Patria”. Un messaggio nel segno dell’amicizia con gli Usa: “rispettate le sue leggi per essere rispettato, esaltate insieme con il Tricolore la bella bandiera stellata”.

Siai S55X Volandia

L’omaggio all’industria italiana e alla Siai di Sesto Calende

Quale che sia il giudizio su Balbo, l’S55X racconta comunque la storia dell’aviazione e dell’industria italiana: il genio dell’ingegner Marchetti, ma anche la perizia degli operai, i falegnami, i meccanici che davano corpo ai suoi progetti (Sesto Calende divenne poi una roccaforte operaia e centro attivo nella Resistenza).

Siai S55X Volandia

Per i volontari l’S55 è prima di tutto il simbolo di un’impresa che unì l’Italia, gli Usa, ma anche il Brasile che fu il maggiore acquirente estero di questo particolare velivolo. «Nacque come aerosilurante, ma è diventato il simbolo di una crociera pacifica che ha unito le due sponde dell’Atlantico».

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 09 Aprile 2022
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