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I genitori di Giulio Regeni incontrano gli studenti di Gallarate: “Siete la nostra scorta mediatica”

Un dialogo intenso ed emozionante con i genitori del ricercatore e l'avvocato Ballerini, collegati in streaming, per riflettere sulla memoria e sulla tutela dei diritti umani

giulio regeni

Ricordare la tragedia di Giulio Regeni e diventarne testimoni: ieri, venerdì  27 maggio, gli studenti dei licei di viale dei Tigli di Gallarate hanno potuto parlare con Paola Deffendi e Claudio Regeni, genitori di Giulio, e l’avvocato Alessandra Ballerini (in collegamento) con cui hanno scritto Giulio fa cose (Feltrinelli). Durante l’incontro i ragazzi hanno letto poesie, lettere, racconti e pensieri dedicati e indirizzati al ricercatore ucciso nel 2016 a Il Cairo.

“Il futuro siete voi”

«Ringrazio gli studenti e la professoressa Rossella Calloni per aver preparato questo incontro. L’incontri di oggi è mirato a far sì chela memoria non sia un mero ricordo ma un progetto per il futuro: essere testimoni significa cercare la verità, affinché non ci siano indifferenza e oblio», ha affermato la neodirigente scolastica, Cristina Boracchi.

Presente all’incontro anche l’assessora alla Cultura e istruzione Claudia Mazzetti: «Ci avete emozionato ragazzi, è un tema delicatissimo. Trattarlo alla vostra età può far scaturire in voi una particolare sensibilità: bisogna parlare di queste cose e trovare il coraggio di parlare e affrontare le cose dolorose. Ringrazio il lavoro degli studenti e voi vanno i complimenti. Voi avete in mano lo strumento più bello, che è il futuro: studiate e imparate perché tutto ciò che imparate vi servirà per la vita».

“Un cammino in tutela dei diritti umani”

A porre le domande agli ospiti gli studenti di terza Sofia Bardelli e Norberto Berra, partendo dall’etichetta di “genitori della vittima” su cui si riflette tra le pagine del libro. «Ci siamo sentiti vittime a nostra volta, che significa aggiungere una passività in una azione», ha spiegato Deffendi, «noi abbiamo deciso dopo pochi giorni dalla sparizione di Giulio di andare a Il Cairo, senza aspettare, per intervenire: da una parte fa parte della nostra cultura territoriale, dall’altra un po’ di sfiducia verso le istituzioni che dovrebbero avere invece una parte di azione mettendosi a fianco della famiglia nella ricerca di verità e giustizia. E abbiamo capito che se noi ci mettiamo in cammino insieme ad altre persone possiamo segnare un solco, un cambio e mettersi dalla parte di chi agisce e non aspetta. Segnare un percorso, un cammino verso la tutela dei diritti umani». «Non bisogna farsi distrarre – ha aggiunto l’avvocato – lo scorrere del tempo è una strategia posta da chi non vuole la verità e continuare a portare avanti i propri traffici con gusta dittatura. Stare dalla parte di Giulio significa stare dalla parte di tutti noi, essere attivi e entusiasti: qualità che vedo qui, non perdetele».

Che cosa si intende per scorta mediatica? Regeni ha spiegato che è composta dalla «stampa e dalle persone che ci stanno vicine ogni giorno, aiutandoci a mantenere una presenza all’interno di una comunicazione sui social, raccogliendo testimonianze in modo da agevolare noi, darci il sostegno come scorta affettiva. Mantenendo l’immagine corretta di Giulio come ricercatore e giovane interessato allo sviluppo positivo del mondo, per fare in modo che le informazioni che circolano siano corrette». Anche i gallaratesi, dopo questo percorso di studio e approfondimento del caso Regeni, possono considerarsi parte della loro scorta mediatica; non lo sono certamente i politici che hanno rimosso lo striscione giallo “Verità per Giulio Regeni” da piazza Unità d’Italia di Trieste, nel giugno 2019: «Ciò dimostra che ci sono state delle strumentazioni politiche e ideologiche su cosa vuol dire lottare per i diritti umani. Queste persone hanno fatto una strumentazione della tragedia di Giulio: lottare per i diritti umani non è di destra né di sinistra, è di tutti e per tutti gli esseri umani. Aspettiamo che lo comprendano, forse per loro ci vuole tempo: abbiamo fiducia», ha sottolineato la madre del ricercatore.

Manifestare il proprio dissenso, invece, in Egitto non è possibile, ha raccontato l’avvocato Ballerini mentre introduceva ai ragazzi la pericolosa situazione in cui vivono i loro consulenti: «Fare i difensori dei diritti umani in Egitto è rischioso. I nostri consulenti hanno pagato con molti mesi di carcere, c’è un grosso accanimento su tutta l’organizzazione che si occupa dei casi di Giulio, così come di altri ragazzi. Tre-quattro ragazzi egiziani al giorno fanno la fine di Giulio. Stanno pagando dei prezzi altissimi per chiedere la verità per Giulio e quando penso a loro penso ai sindaci che strappano gli striscioni di Giulio senza rendersi conto di ciò che fanno. Penso anche a quanto sia più facile esporsi nel nostro paese e, proprio per questo, più doveroso».

La commissione parlamentare d’inchiesta

Sono sorte spontanee, invece, le domande sull’università di Cambridge, in cui studiava Regeni. «L’università a volte viene usata per depistare e spostare l’attenzione, perché lo Stato fa affari con Egitto – ha risposto Ballerini – Insidiamo che la ricerca era pericolosa. Noi dobbiamo ricordare che le responsabilità penali e chi permette l’impunità è in Egitto (e anche un po’ a casa nostra). A Cambridge ci sono dei professori che difettano di empatia, a Cambridge possono starci responsabilità etiche e civili, ma quelle penali sono in Egitto».

Infine, gli studenti hanno chiesto ai genitori e all’avvocata della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso e dei lavori eseguiti a fin 2021: «Probabilmente non erano i tempi giusti perché c’era l’inchiesta di magistratura che sta facendo il suo dovere con un fascicolo contro i quattro imputati e contro ignoti. Essendo politica poteva fare di più: quando ha sentito degli esponenti politici che non erano stati sentiti dalla magistratura le domande avrebbero dovuto essere più incalzanti. Li avessimo sentiti noi, avremmo fatto altre domande», ha concluso Ballerini.

 

Nicole Erbetti
nicole.erbetti@gmail.com
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Pubblicato il 28 Maggio 2022
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