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Sergio Rizzo e la memoria corta degli italiani

L'editorialista di Repubblica ha presentato il suo ultimo libro 'La memoria del criceto' (Feltrinelli) al teatro Condominio. Tanti i temi affrontati, dai dissesti idrogeologici, alll'Alitalia fino all'ex Ilva

Sergio Rizzo a Gallarate per Duemilalibri

«L’amnesia degli italiani ha permesso alla classe politica di fare dei danni incalcolabili. Penso ad Alitalia: una compagnia aerea che non ha mai chiuso un bilancio in attivo, e che è costata finora miliardi e miliardi ai contribuenti». Continua l’edizione numero 20 di Duemilalibri. Lunedì 25 novembre, al Ridotto del teatro Condominio di Gallarate, è stato il turno di Sergio Rizzo, che ha parlato del suo ultimo libro La memoria del criceto, edito da Feltrinelli nella collana ‘Serie bianca’.

Firma storica della stampa italiana, da Milano Finanza ha compiuto un lungo percorso che l’ha portato a Repubblica, per cui oggi scrive. Nel 2007 ha pubblicato insieme a Gian Antonio Stella il famoso libro-inchiesta La casta (Rizzoli). Da lì, una serie di libri incentrati sulla politica, i suoi sprechi e le false promesse; l’anno scorso, sempre in occasione di Duemilalibri, aveva presentato 02-02-2020 – La notte che uscimmo dall’euro: una previsione di un paese fuori dalla moneta unica e dall’Unione Europea, quando al governo c’erano due partiti – allora – fortemente anti-europeisti.

Intervistato dalla giornalista della Prealpina Rosi Brandi, Rizzo è stato un fiume in piena: per qualsiasi tema che veniva proposto ha snocciolato tanti fatti ed esempi di malagestione italiana. Il primo caso discusso sono stati i dissesti idrogeologici: una questione annosa che si ripresenta ciclicamente. Brandi riporta le parole riportate dall’Ansa del presidente dell’Unione Province Italiane Michele de Pascale, secondo cui ci sarebbero 14 mila opere, tra ponti, viadotti e gallerie, su cui bisognerebbe intervenire. «Sarebbe interessante però – ammonisce il giornalista di Ivrea – vedere quel rapporto. Uno dei problemi italiani è la sua struttura, che spesso permette alle varie amministrazioni, provinciali, regionali e nazionali, di scaricarsi il barile a vicenda. L’Italia – spiega – nasce nel 1861 come uno Stato fortemente centralista, basato sul modello francese. Nel 1948, quando fu scritta la Costituzione, si provarono a cambiare le cose. Il risultato è che, a uno stato centralista, se n’è sovrapposto uno pseudo-federalista. E così le regioni e le province si sono gonfiate di poteri e denari».

Le province sono uno dei tanti temi di cui si dibatte da decenni: apparentemente, tutta la classe politica è d’accordo nell’abolirle, ma in realtà non lo si è mai voluto fare: «Tutti i politici da circa 20 anni ripetono la stessa cosa: bisogna eliminarle. Eppure, invece che scomparire o diminuire, sono addirittura aumentate. Comico il caso della provincia BAT, Barletta-Andria-Trani: dieci comuni, di cui tre capoluoghi. Oppure la Sardegna: nel 2012 venne promosso un referendum per eliminare quattro delle otto province, che passò. Oggi quelle province sono ancora commissariate, e uno dei commissari è tra quelli che promossero il referendum».

Quindi, il trasformismo. È noto il continuo travaso di parlamentari e, più in generale, di politici da un partito all’altro, spesso però dimenticato dagli elettori: «Un ex presidente del consiglio regionale della Calabria è passato dal PD a Fratelli d’Italia; nel 2005, quando si cominciò a fiutare che il centrodestra non avrebbe rivinto le elezioni, ci furono 116 cambi di casacca, in pochi mesi. E poi c’è il curioso caso di Giuseppe Conte: un premier di due maggioranze diversissime, che nel primo discorso di insediamento parlò di lotta all’immigrazione; nel secondo discorso, quando succedette a se stesso, parlò di accoglienza».

Il caso Alitalia, uno degli esempi massimi di inefficienza nostrana, è ben affrontato nel libro: la compagnia aerea in eterno travaglio che Rizzo avrebbe preferito vendere ai francesi: «Quando c’era l’occasione, molti si opposero costernati. Ma è una compagnia senza un bilancio in attivo, con un piano industriale fallimentare e con centinaia di dipendenti in cassa integrazione da sette anni. Vendendola ai francesi (di Air France, ndr) la bandiera italiana sarebbe rimasta sugli aerei, l’Italia sarebbe rimasta azionista, e avremmo evitato ulteriori guai. Oggi è l’unica compagnia al mondo con due amministrazioni straordinarie».

Incalzato sul movimento delle ‘sardine’ – che adesso sono nate anche a Varese consiglia cautela: «Mi ricordo molti movimenti spontanei nati nelle piazze e spariti in poco tempo, come i ‘girotondi’. A loro, ragazzi di buona volontà e con buone idee, manca certamente un leader. L’unico movimento simile durato negli anni è stato il Movimento Cinque Stelle; ma a differenza loro, aveva un capopopolo come Grillo, che sapeva arringare le piazze».

Ma neanche la categoria dei giornalisti è esente da critiche. Se la classe politica la definisce «miserevole» in quanto «sprovvista di processi di formazione e selezione al suo interno», i giornalisti li hanno incalzati troppo poco. «Il giornalismo italiano, anche quello di qualità, è sempre stato intrecciato con la politica. Due miei ottimi colleghi, Stefano Folli di Repubblica e Massimo Gaggi del Corriere della Sera, erano portavoce di Ugo la Malfa; per tanto tempo Giovanni Spadolini è stato direttore del Corriere. Poi Michele Santoro, Lilli Gruber: tutti bravi giornalisti, ma hanno avuto tutti esperienze politiche. È anche per questo che in Italia non si fanno mai abbastanza le pulci al potere».

Varesenews affronta questo tema nel profondo ogni anno in occasione del festival Glocal. Quest’anno sono stati tanti gli incontri interamente dedicati al giornalismo: i talk con Sandro Ruotolo, Alberto Puliafito, Mario Calabresi, Federico Badaloni e le iniziative di Google per il giornalismo locale e dal basso, solo alcuni tra i tantissimi eventi nel centro di Varese.

L’ultimo capitolo, sottolinea Rosi Brandi, si chiama ‘La lezione di Carola’ ed è dedicato a Carola Rackete, la capitana della Sea Watch che nel giugno scorso aveva autorizzato l’attracco della sua nave nel porto di Lampedusa senza l’autorizzazione dell’allora ministro degli Interni Matteo Salvini, che generò una polemica feroce: «Non voglio giudicarla, ma sottolineo che si è presa la responsabilità di fare quello che riteneva giusto, anche se voleva dire violare la legge. È quello che servirebbe qui in Italia: il senso di responsabilità, che impone di fare il proprio dovere senza addossare la colpa sistematicamente agli altri».

 

Pubblicato il 26 Novembre 2019
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