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I tre pilastri di Ubi: più fintech, meno rischio e semplicità di governance

Il ceo Victor Massiah ha presentato il piano industriale per il prossimo triennio. Oltre agli investimenti in tecnologia e formazione è prevista l’uscita di 2.030 persone, di cui 300 già previste dall'accordo sindacale dello scorso dicembre, e la chiusura di 175 filiali. Previste nuove assunzioni per il ricambio generazionale

Ubi Banca- Bpb generiche

Il piano industriale 2022 di Ubi Banca presentato dal ceo Victor Massiah nella sede milanese di via Monte di pietà si basa su tre pilastri su cui si basa: selezione del credito, ominicanalità e rafforzamento del servizio ai clienti high end (premium, private, corporale, Cib). «Puntiamo a una ulteriore riduzione del costo del rischio – ha esordito Massiah – All’inizio della crisi il fattore più critico era il rischio del credito, l’abbassamento dello stock del credito a rischio impatterà positivamente sul conto economico».  In quest’ottica, Ubi Banca conferma la piattaforma di recupero crediti interna alla banca formata da 500 persone specializzate. Si escludono dunque cessioni massive di credito. Nel 2022 le rettifiche su crediti dovrebbero scendere a quota 387 milioni nel 2022 dai 738 milioni del 2019.

Verrà trasformato il modello di business del retail più orientato alla omnicanalità. «Oggi è un business meno profittevole – ha detto Massiah – perché con i tassi negativi ci troviamo ad avere una raccolta generatrice di redditività negativa». In questi anni Ubi Banca ha investito 140 milioni di euro nell’omnicanalità, componente che verrà aumentata nel triennio. Un segmento strategico del piano industriale che consente di fare operazioni combinando la componente digitale, attraverso l’uso dei vari device, con la componente umana. Un modello ibrido che rispecchia le richieste fatte dagli stessi clienti della banca. Ubi scegli dunque un digitale dal volto umano, non un digitale in purezza. «Non perché siamo buoni – ha sottolineato Massiah – ma perché ci è stato esplicitamente richiesto nei nostri focus group».

Il terzo pilastro riguarda invece il potenziamento con investimenti sulle piattaforme per i clienti a maggior valore aggiunto. «Faremo uno sforzo ulteriore sulle piattaforme di servizio e faremo un forte investimento in formazione – ha spiegato il ceo di Ubi Banca – Applicheremo la richiesta di ottenere il patentino da promotori finanziari per i gestori, incrementeremo la formazione interna del 25% nel prossimo triennio, passando da otto a dieci giornate l’anno».

Ai tre pilastri verticali se ne affiancano tre trasversali. Il rafforzamento della capacità dell’analisi dei dati con la creazione di nuovi team dedicati agli advanced analytics, sviluppo di app e soluzioni informatiche con il raddoppio delle persone dedicate al fintech: si passa da 325 a 610 persone nel 2022.

Massiah si impegna a proteggere i dati dei clienti, a non commercializzarli e a metterli in cassaforte per migliorare il servizio. A fine piano un terzo della banca lavorerà come una fintech. Le nuove leve lavorano in maniera mista, in modo agile, senza una sequenza rigida. «Lavorano insieme in un modo che non è classico della banca».

Oltre agli investimenti in tecnologia e formazione, il piano prevede la ridefinizione della struttura organizzativa che prevede l’uscita di 2.030 persone che comprendono i 300 esuberi dell’accordo sindacale del dicembre del 2019 (attualmente le persone impiegate in Ubi Banca sono 19.995), garantendo anche un parziale ricambio generazionale con nuove assunzioni oggetto della trattativa sindacale in corso. Prevista anche la chiusura di 175 filiali su 1.540.

Con il piano vengono liberate in tutto 4.390 risorse di cui il 75% proviene dalla trasformazione del modello di servizio nella rete territoriale. L’attività di reskilling riguarderà 2.360 persone che andranno a rafforzare i team dei contact center.

Tutte queste azioni tengono conto di uno scenario che propone un andamento praticamente in fotocopia per i prossimi tre anni. In caso di cambiamento in meglio, secondo Massiah, la banca ha gli strumenti per correggere il tiro. Per esempio, in un periodo come quello attuale dove si fatica a fare impieghi la banca spinge sui corporate bond, ma se l’economia del Paese crescesse sarebbe pronta a cambiare strategia. «Abbiamo ulteriori armi che non sono nel piano – ha concluso Massiah – Le società prodotto sono tutte in casa e le abbiamo difese anche durante la crisi. Il piano non ha alcuna componente aggiuntiva che derivi dalla componente assicurativa. La società in Cina gestisce 40 miliardi di euro ed è una società di cui possediamo il 25% . Vale un miliardo e quindi esprime un valore potenziale a bilancio di 250 milioni di euro. Non vogliamo venderla ma ci sono arrivate offerte che non abbiamo accettato perché crediamo che il risparmio in Cina sia destinato ad aumentare».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it
Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.
Pubblicato il 17 Febbraio 2020
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