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Il private capital genera innovazione e ci porterà fuori da questa pandemia

Il private equity fa crescere il livello di innovazione e il valore delle imprese coinvolte. Anna Gervasoni (Liuc): "In In media le aziende che ricevono più capitali sono quelle che depositano più brevetti "

Generico 2018

In una fase così delicata per l’economia non solo italiana, l’ottimismo motivato che arriva da quattro giganti del private equity, tra i più attivi in Europa, fa ben sperare per il futuro. Gli interventi di Gabriele Cipparrone (Apax), Giorgio De Palma (Cvc), Tommaso Paoli  (Nuo Capital) e  Maurizio Tamagnini (Fsi), nell’ambito della annuale Private capital conference, promossa da Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt), Pwc e Linklaters, possono essere sintetizzati con l’efficace battuta finale di Enzo Cipolletta, chiamato a concludere la conferenza. «Il private equity – ha detto il presidente di Aifi-  si sta muovendo nella direzione che interessa il Paese. Se il mercato ha nuove esigenze noi ci adattiamo in modo rapido facendo attenzione alle sue richieste.
 Il private capital è un driver dell’innovazione ed è quello che ci porterà fuori da questa pandemia».

Insomma, qualcosa di più di un semplice auspicio. Una convinzione che poggia sulle parole dei manager dei quattro fondi, chiamati a commentare il ruolo che ha il private equity nel far crescere il livello di innovazione e conseguentemente il valore delle imprese coinvolte nelle varie operazioni.

I dati presentati da Anna Gervasoni, direttore di Aifi e docente dell’università Liuc,  elaborati dallo Sci (Monitor sviluppo capitali) dell’ateneo di Castellanza di cui è responsabile di progetto insieme a Raffaella Manzini, direttore della Scuola di ingegneria industriale, indicano infatti che il 27% delle imprese, su un campione di 294 realtà lombarde, è innovativo, in quanto depositarie di brevetti, percentuale nettamente superiore alla media italiana pari al 5%, mentre il 44% del campione, ossia quasi la metà, ha depositato un marchio. Il dato interessante è che nel caso dei brevetti sono i settori manifatturiero e Gdo a mostrare una maggiore capacità innovativa, ai quali si aggiunge l’Ict per quanto riguarda la registrazione di un marchio. In termini assoluti, sono le target delle operazioni di buy out che depositano più brevetti e più marchi.

Esiste dunque una correlazione tra private equity e innovazione, come conferma Gabriele Cipparrone di Apax, a condizione però che si abbia un approccio selettivo. «La crescita dei ricavi è diventato il driver principale e i ricavi crescono se c’è innovazione che rende le imprese più forti e competitive. Nel settore della tecnologia è importante anche l’acquisizione di altre aziende, così come è importante avere nel team che affianca le affianca esperti in data science e business technology».

Se si pensa che l’innovazione sia una prerogativa solo delle startup o destinata a settori legati alle nuove tecnologie si fa un errore grossolano. «Un tempo c’era una differenza netta tra imprese tradizionali e innovative – spiega Giorgio De Palma di Cvc – Oggi invece tutte le aziende devono innovare. Si innova nell’healt care, nel campo dell’educazione, nella sostenibilità ambientale e in settori tradizionali come la lavorazione del cuoio. È aumentata molto l’innovazione nei servizi che vengono offerti dalle imprese. iI private equity investe in tutti questi settori, compreso anche lo sport. Sono operazioni che portano le aziende interessate al passo con i tempi».

C’è inoltre l’esigenza di uscire dai confini italiani e in particolare dalla Lombardia, dove si concentra maggiormente il private equity, nonostante ci siano molte possibilità anche nelle altre regioni con imprese che si stanno rimettendo in gioco. C’è chi interpreta l’innovazione concentrandosi nella ricerca di nuovi mercati e nuovi modelli di business. «Un nuovo mercato è la Cina che con il Covid si è dimostrata più resiliente di altri paesi – sottolinea Tommaso Paoli  di Nuo Capital – . Non è facile sfondare in Cina, ci vuole tempo e un capitale paziente. Prima di fare un investimento si valuta l’opportunità di fare la differenza, quindi: come farlo, con chi farlo e quando farlo. Occorre scegliere gli interlocutori giusti per fare un percorso lungo con tanto focus manageriale. Penso che  le aziende italiane e familiari abbiano un gap di conoscenza e competenza su come comunicare, sull’automazione e sui processi produttivi. Cerchiamo di valorizzare non solo la singola azienda ma anche la famiglia».

Gli investimenti dei fondi privati sono un pilastro portante del futuro, ma per far sì che si formi un ecosistema dell’innovazione occorre mettere in campo un’azione condivisa negli obiettivi. «Per noi il tema dell’innovazione è centrale: dal 2011 abbiamo investito più di 6 miliardi – conclude Maurizio Tamagnini di Fsi -. Il grado di intensità tecnologica delle imprese italiane ha grandissimi spazi di miglioramento. Ci vorrebbe un progetto condiviso dal Politecnico, dalle università e dal sistema dei capitali privati, sull’esempio di quanto è stato fatto in Francia, per far crescere queste aziende, altrimenti si fanno affari ma non investimenti. Nel frattempo il Festival dell’innovazione lo fanno a Lisbona e Milano sta ancora sulla circonvallazione».

 

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it
Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.
Pubblicato il 08 Ottobre 2020
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