Gli emigranti di Cuggiono che sconfissero l’Inghilterra ai mondiali di calcio
Era il 1950, in una edizione anomala: la squadra USA era fatta da dilettanti, migranti per lo più venuti dall'Europa. Che riuscirono a battere i "signori del calcio" nella "partita della loro vita"

Estate 1950: al mondiale di calcio in Brasile si presentano i “signori” dell’Inghilterra, che per la prima volta affrontano la competizione globale cui si erano sempre sottratti. Ma il debutto dei creatori del calcio si rivela diverso da quanto preventivato: non passano il turno, incappando anche in una sconfitta quasi simbolica. Sul campo vengono battuti dalla nazionale degli Stati Uniti, fatta di emigranti che giocano da dilettanti.
Era quella una squadra – quella statunitense – fatta per lo più da figli di famiglie appena immigrate dall’Europa. E ben quattro giocatori venivano da una zona di agricoltura povera in Lombardia: il mandamento di Cuggiono, terra ghiaiosa in riva al fiume Ticino, da cui in migliaia partirono per cercar fortuna in America.
Giunti soprattutto in Illinois, trovarono i maggiori riferimenti nelle città di Herrin e nel quartiere The hill a St. Louis.
Le strade di quei quartieri operai, dove giocavano da da bambini e poi da ventenni, tra un turno di lavoro e l’altro, sfornarono più di un campione di baseball, una delle grandi passioni statunitensi.
Ma c’erano anche quelli che intorno alla chiesa di St.Ambrose e su Marconi Avenue si dilettavano nel calcio, lo sport più amato (insieme al ciclismo) nell’Italia della prima metà del Novecento.

In Usa chi giocava a calcio lo faceva per passione, non era sport professionistico.
Ma nel 1950 per la prima volta la selezione americana riuscì a qualificarsi per il Mondiale: la squadra era fatta da molti italiani, ma anche da diversi irlandesi, un portoghese, un haitiano. Figli di emigranti, erano già cittadini americani: molti avevano combattuto nella Seconda Guerra Mondiale, chi da fante sulle spiagge della Normandia, chi da radiotelegrafista su una nave da guerra.
E gli italiani chi erano?
«Quattro erano figli di emigranti della nostra zona, di Cuggiono: Charlie Colombo, il portiere Frank Borghi, il mediano Gino Pariani, Bill Bertani. E poi c’era Frank Wallace, che aveva cambiato nome ma era in realtà Franco Valicenti, calabrese» racconta Oreste Magni, dell’associazione Ecoistituto del Ticino, che sabato 15 giugno inaugurerà un grande pannello per ricordare “la partita della vita”, quella giocata sul campo di Belo Horizonte contro l’Inghilterra.
Tutti figli della classe operaia: Borghi faceva l’autista per la ditta di pompe funebri dello zio Paul Calcaterra, Charlie Colombo lavorava in una macelleria di St. Louis; Gino Pariani aveva 22 anni, si era appena sposato e faceva l’operaio alla Continental Can, produttrice di contenitori metallici.
“La partita della loro vita”
Il 25 giugno 1950 scesero in campo per la prima volta nello stadio di Curitba, nello Stato del Paranà: furono travolti per 3-1 dalla Spagna, che avrebbe poi passato il girone accedendo alla fase finale (che solo in quella edizione si giocò non a eliminazione diretta, ma con un girone: il Mondiale lo vinse l’Uruguay).
La partita successiva era in programma quattro giorni dopo a Belo Horizonte, a mille chilometri di distanza: Usa contro Inghilterra. «Gli inglesi snobbarono gli americani e lasciarono negli spogliatoi molti giocatori per risparmiarli in vista degli incontri importanti. Non tennero conto che gli americani erano abituati a giocare su campi difficili e poco curati» raccontano Magni e lo storico Ernesto Milani in un articolo sul magazine Città Possibile.
La cronaca della partita sembra un film. «Così gli inglesi si accorsero ben presto di non essere in grado di dominarli, e il pubblico cominciò a tifare per i più deboli. La svolta decisiva avvenne al 37’ del primo tempo: Ed McIlvenny lanciò a Walter Bahr, che tirò in porta alla sinistra di Bert Williams, il portiere inglese il quale tentò invano di parare ma fu anticipato da Joe Gaetjens [il giocatore haitiano, ndr] che infilò il pallone dalla parte opposta».
Gli statunitensi fecero muro, capeggiati da Charlie Colombo e soprattutto dall’estremo difensore Frank Borghi. «L’ho conosciuto anni fa: aveva delle mani come dei badili, giocava anche a baseball: non ha mai usato i piedi in tutta la partita e quando arriva il triplice fischio è l’eroe di giornata» racconta ancora Magni.

Nel finale gli Usa rischiarono persino il raddoppio, con Frank Wallace/Franco Valicenti.
Ormai era fatta: «Una squadra dell’oratorio batte i signori del calcio» conclude divertito Oreste Magni.
Il baseball Usa dalla campagna lombarda: Cuggiono celebra i campioni “emigranti”
Lo sport come via d’integrazione e di espressione
Quel 29 giugno 1950 diventa “The game of their Lives”: ora a Cuggiono sarà ricordata da un murale di 9 metri, al parchetto tra via San Rocco e Via Manzoni, accanto al murale che celebra invece quattro grandi giocatori di baseball figli di emigranti (ma loro sì divenuti professionisti).
Per il gruppo promotore dell’iniziativa non è solo storia, ma anche racconto contro i pregiudizi: «La loro storia ci ricorda che anche lo sport è stato uno strumento di integrazione e insieme di espressione delle minoranze in Usa, anche attraverso le proprie tradizioni sportive, come in questo caso. Come oggi gli immigrati asiatici a Cuggiono hanno fondato il loro cricket club».
L’inaugurazione del murale fa parte di un weekend che rinsalda il legame tra Cuggiono e le comunità nate dall’emigrazione di fine Ottocento/inizio Novecento: «Sarà con noi una delegazione di trentadue persone venute da Herrin», la città mineraria dell’Illinois che divenne nuova sede di migliaia di abitanti del Cuggionese. Minatori tosti, protagonisti anche di dure lotte per i diritti dei lavoratori in un contesto difficile.
Ci sarà un annullo filatelico speciale e sarà inaugurato “Largo Herrin”, dedicazione di un angolo del paese. Saranno proprio quelli della delegazione di Herrin a inaugurare il murale dei giocatori-operai che vinsero una partita da film.
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