Il tennis in pausa a dicembre. Il viaggio del tennista nella sua attesa più profonda
Mentre per gli appassionati e neo appassionati si entra nella fase di astinenza e analisi quasi spasmodica di ogni numero e record immaginabile, nel silenzio il tennista è costretto ad affrontare se stesso
Dicembre, il mese in cui i tennisti professionisti entrano in pausa. Mentre per gli appassionati e neo appassionati si entra nella fase di astinenza e analisi quasi spasmodica di ogni numero e record immaginabile, il calendario del tennis segna l’unico mese di pausa. Dopo undici mesi su dodici in movimento in giro per il mondo, in viaggio, in campo, in constante movimento, quasi tutti i tennisti si fermano. All’improvviso: il silenzio, quel silenzio che costringe ad ascoltarsi, a prendere decisioni, a cambiare.
Per molti è l’occasione per bilanci, classifiche, titoli. Ma per chi vive il tennis come un percorso, come nel nostro “viaggio del tennista”, questo tempo sospeso non è un traguardo: è una soglia da superare, una stanza interiore. Il mese dell’ascolto, non della celebrazione.
Un mese può essere vacanza, recupero, tregua. Ma il tennista consapevole sa che questo è il momento più delicato: quello in cui non si guarda avanti, né intorno. Si guarda dentro. I riflettori si spengono, restano i pensieri. La racchetta si impugna meno, ma pesa di più. Si rivedono gli errori, tecnici o tattici, ma soprattutto si vedono quelli interiori: le paure, le rinunce, i momenti in cui si è mancato a se stessi. Ma anche le gioie silenziose: progressi nascosti, match persi dignitosamente, vittorie che non portano trofei ma trasformazione.
Nella struttura del “viaggio dell’eroe”, questo periodo corrisponde all’avvicinamento alla caverna più profonda: quel momento in cui l’eroe si prepara a confrontarsi con sé stesso, con la propria ombra, con il proprio “io” che teme troppo di guardare. È la quiete prima della tempesta. È riflessione, non movimento. E non siamo solo a livello teorico: anche oggi alcuni tennisti lo testimoniano con i fatti. Sinner in questo senso è forse l’esempio più significativo. Dopo una stagione intensa e faticosa, tornerà per qualche giorno anche nella sua Val Pusteria e sulle sue piste di sci: un gesto che per lui non significa evasione, ma ritorno. Sciare è per lui un modo per “ricaricare mente e anima”, per riconnettersi con le radici, con quel ragazzo che prima di diventare tennista era sciatore.
Così emerge un paradosso: il “mese di pausa” non è più scontato. Il silenzio è una conquista. Chi riesce a ritagliarsene uno, fa già un atto di consapevolezza. È un intervallo mentale che può diventare allenamento profondo, o se ignorato occasione persa.
Per alcuni tennisti storici, questa sospensione è stata decisiva, ma con destinazioni diverse. Roger Federer, dopo una stagione 2016 chiusa in anticipo per problemi fisici, si prese sei mesi di pausa. Fu un atto di rottura e di consapevolezza: un silenzio necessario, in cui tornò a guardarsi dentro, per poi tornare nel 2017 e vincere l’Australian Open con una delle sue prestazioni più memorabili. Al contrario, Nick Kyrgios, talento esplosivo, imprevedibile, ha spesso dichiarato di odiare i periodi di pausa: li definisce noiosi, persino dannosi. Ma quella sua difficoltà nel fermarsi, nel lavorare su se stesso fuori dal campo, è diventata parte della fragilità che lo ha spesso tradito nei momenti decisivi.
In questo dicembre, dunque, il tempo assume un valore diverso. Non è fine: è incubazione. Non è bilancio: è pudore. Non è tregua: è preparazione. In questo momento si ritrova l’equilibrio psicologico, si scarica la tensione di mesi di competizione, infortuni, aspettative. Si può rivedere il proprio gioco, prepararsi mentalmente per l’anno che verrà. Si allena la mente: coltivare la pazienza, la consapevolezza, la resilienza; qualità invisibili ma fondamentali per chi vive di tennis.
Il silenzio, la sospensione del campo, è ciò che prepara la prova finale. È nella rinuncia apparente che l’eroe rafforza la sua volontà. È nel vuoto che si crea lo spazio per la rinascita. Questa pausa, insomma, non è una sosta. È un allenamento dell’anima. Un rito di preparazione. Dicembre non è un bilancio: è un seme. Come nella vita è nelle fasi di quiete che si vede il carattere. Il tennista che torna non è quello che ha segnato tutti i punti. È quello che ha capito che il campo non basta. Perché il vero tennista non si misura ai punti: si misura alla distanza tra chi è stato e chi vuole diventare.
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