“Resistere, ascoltare, fare comunità”: Sara Zambotti racconta trent’anni di Caterpillar
A Materia Spazio Libero, dialogo con Marco Giovannelli su radio, attivismo, clima, migrazioni e le sfide dell’intrattenimento oggi. La conduttrice: «Il rischio è smarrire l’“arma segreta” della radio: l’imperfezione che crea relazione»

«Un programma che dopo 30 anni vuole ancora fare comunità e mettersi in ascolto di chi ascolta». Sara Zambotti, voce di Caterpillar su Rai Radio2, apre così l’incontro a Materia Spazio Libero con Marco Giovannelli, direttore di VareseNews. Una conversazione fitta, piena di energia e autoironia, che attraversa la storia del programma e finisce per abbracciare il presente: dalle redazioni che “ruminano” notizie alla diretta come adrenalina buona, dalla febbre del podcast alla crisi climatica, fino all’impegno sui temi delle migrazioni e al posto dell’intelligenza artificiale in radio.
“È sempre un gioco di resistenza”
Caterpillar nasce come esperimento estivo e resiste per quasi tre decenni. «Non ci muoviamo in acque serene—dice Zambotti—ma proprio quel sentirsi un po’ fuori linea col potere ti tiene vivo. Se ci dicessero “fate quello che volete”, forse a un certo punto non ne potremmo più. Invece esserci, ribadirlo, è già un atto».
Conservatori? «Un po’ sì: abbiamo la stessa sigla da 30 anni (ed è bellissima). Ma quella “conservazione” convive con una visione da servizio pubblico e con una comunità reale, che ci ha tenuto in piedi».
Non è un momento facile questo e le scelte editoriali rimettono spesso in discussione la trasmissione. Nel prossimo palinsesto sono stati tagliati spazi e nell’orario classico andrà in onda Belen e Caterpillar partirà alle 19.45.
Dietro le quinte: la redazione che rumina
La costruzione di una puntata è artigianato quotidiano. «Di quello che ascoltate, circa il 40% lo decide la squadra in onda. Il resto sono musiche e interruzioni. Il nostro spazio parlato è prezioso e sempre più risicato: per questo lo curiamo fino all’ultimo minuto». La giornata è una ruminazione collettiva in una stanza «grande un quindicesimo della vostra», tra rassegne stampa condivise e una scaletta che resta volutamente porosa all’attualità.
La diretta è il luogo dell’imprevisto: dall’appello “Mission Impossible” la sera di una cena alla Casa Bianca (quando rispose davvero una coppia di friulani in viaggio verso Washington) all’informazione sul campo in giornate drammatiche. «Quella scintilla ti tiene accesa la testa: il racconto è colloquiale, improvvisato, vivo».
Radio vs podcast: due gesti diversi
Zambotti non demonizza i podcast—«sono splendidi, ne divoro tanti»—ma difende la specificità della radio: «Il podcast è lo strumento di chi vuole dire qualcosa a qualcuno; la radio è di chi ha voglia di parlare con qualcuno. Il podcast ti dà controllo e on demand; la radio ti chiede affidamento, ti mette dentro una conversazione».
Nelle emittenti, intanto, la frontiera si è spostata: «Le radio sono sempre più in diretta, i podcast sempre più prodotti freddi. Non è un’alternativa secca, ma il rischio è smarrire l’“arma segreta” della radio: l’imperfezione che crea relazione».
Intrattenimento e realtà: tenerle insieme
Come si sta in onda mentre il mondo brucia? «Mi interrogo molto sull’intrattenimento. Pensare che debba distanziare dalla realtà è sottovalutare chi ascolta. Sembra tutto polarizzato: o intrattieni, o fai giornalismo. Io spero in un terzo spazio, difficile ma necessario, dove si può ridere e pensare nella stessa ora».
“M’illumino di meno”: dal gesto al movimento
L’iniziativa nata nel 2005 come “silenzio energetico” è cresciuta fino a diventare giornata nazionale. «Siamo passati dagli stili di vita all’urgenza della giustizia climatica. Oggi l’adesione ci sovrasta: scuole, amministrazioni, comunità. Il difficile è come se ne parla: spesso si racconta che “la natura si ribella”, ma la responsabilità umana c’è eccome. La stessa pioggia fa un effetto sul cemento, un altro su un bosco: non è colpa della pioggia».
«Vogliamo mantenere l’elemento festoso: M’illumino di meno è anche cene al buio, condomini che si incontrano. Non solo emergenza: cambiamento.»
Migrazioni: dal mare alla società
L’impegno con Resq nasce dal basso e da relazioni personali. «Ci hanno venduto una nave scassata… ma intorno è nata una comunità di volontari incredibile, nelle scuole e nei territori». Il tema, per Zambotti, è “il tema” del nostro tempo: «Che Europa vogliamo? Siamo un Paese che invecchia, perdiamo studenti, eppure l’accoglienza resta un tabù. Non ho pulpiti da cui parlare: so che la paura esiste, ma la storia ci guarderà su come trattiamo chi muore in mare».
Conflitti e sport: strade laterali per dirne
Parlare di Gaza o Ucraina alle 18, quando tutti “sanno già”, chiede creatività. «Cerchiamo vie di attraversamento: una società sportiva che prende posizione per gli aiuti umanitari, una presidente che si espone. Anche dalla periferia dello sport può arrivare una voce che sposta».
Intelligenza artificiale: tra gadget e scelte editoriali
Per ora, impatto minimo e qualche gioco in diretta («basta dire “Ok Google” e partono cento telefoni…»). Le vere scosse arrivano da scelte di palinsesto e da una retorica diffusa sul “deficit di attenzione”: «Cresce l’idea che si debba puntare su più musica e sketch, meno parlato. Caterpillar continua a difendere il suo tempo di parola: è lì che si fa comunità».
Pubblico, moderazione e responsabilità
Pochi social, molta cura dei messaggi in onda. «A volte fa male—“Non vi riconosco più” ci ha scritto un ascoltatore—ma è il patto dell’ascolto: accogliere la critica e provare a non cedere né alla leggerezza irresponsabile né al catastrofismo continuo».
La chiusura (aperta)
Tra una risata e un grumo di domande irrisolte, resta l’immagine della redazione che rumina, insieme, fino alle 18. Caterpillar compie quasi trent’anni, ma non ha smesso di farsi domande. La più grande è anche la più semplice: come si costruisce, ogni sera, un luogo dove stare—con la testa accesa, le orecchie aperte e la voglia di comunità intatta?
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