Le storie di Vincenzo e Anna Maria riaccendono la memoria dei bustocchi
Sindaco e studenti hanno incontrato un deportato e Anna Maria Habermann, figlia di un medico che salvò molti ebrei come lui
È stata una mattinata intensa quella vissuta dalla città nel Giorno della Memoria. Intensa per il sindaco Emanuele Antonelli che ha deposto la corona di fiori ai due monumenti dedicati alla Resistenza e alla deportazione, davanti al Municipio e nell’atrio di ingresso di Palazzo Gilardoni.
Accanto a lui (oltre alla vicesindaco Manuela Maffioli e al presidente del Consiglio Comunale Valerio Mariani) Vincenzo Aquilina, deportato nei campi di concentramento tedeschi dopo che si era rifiutato di seguire Mussolini nella folle impresa della Repubblica Sociale Italiana: «Sono stato ai lavori forzati per due anni – ha raccontato – . Ricordo il terribile viaggio che durò 8 giorni in un carro bestiame con un tozzo di pane e un bicchiere d’acqua al giorno». Il sindaco si è poi anche soffermato sulla necessità di ricordare «perchè ancora oggi dobbiamo sopportare scritte sulle porte degli ebrei, come è successo a Mondovì».
La mattinata è stata intensa anche per gli studenti delle scuole superiori che hanno rivissuto la storia della famiglia di Anna Maria Habermann, bustocca il cui padre ebbe due vite, una prima del nazismo e una dopo. Anna Maria ha raccontato (affiancata dal presidente dell’Anpi di Busto Liberto Losa e Anna Longo dell’associazione Amici di Angioletto Castiglioni) ad una platea di studenti ammutoliti come è risalita alla parte celata della storia della sua famiglia e di suo padre Aladar Habermann: «Era nascosta in una scatola scura e pesante, nascosta in un doppio fondo della cassaforte. La scoprii il giorno in cui diedi l’addio alla casa della mia famiglia che era stata appena venduta».
Quella scoperta ha portato la donna a cercare suo fratello Thomas e la prima moglie di suo padre che decise di tornarsene in Ungheria con il bambino, nonostante i rischi che avrebbe corso, essendo famiglia ebraica. Anna Maria non riuscì mai ritrovare Thomas (finito con la madre in un campo di concentramento che non gli diede scampo) ma riuscì (anche grazie ad un libro sulla sua storia tradotto anche in ungherese) a risalire ad alcuni parenti e amici che conobbero la famiglia che lei non vide mai. Il papà è ricordato ogni anno in città come giusto in quanto aiutò molte famiglie di ebrei italiani nella zona di Busto Arsizio, a sfuggire alle deportazioni.
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