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Dopo la demolizione della ciminiera, “non si può più fare finta di niente”

Quindici anni fa l'ex assessore Pasin si è occupato del primo accordo sull'area. E oggi dice: "L'abbattimento è l'ultimo atto di un progetto ormai ridotto a una operazione poco più che speculativa"

Ciminiera ex Itala via Villoresi Somma Lombardo

«L’abbattimento della ciminiera non può essere ignorato, non si può andare avanti con una operazione che ha visto sparire man mano tutto il valore pubblico dell’intervento».

L’ex assessore Jimmy Pasin, che aveva seguito agli esordi l’intervento sull’area ex Itala, è convinto che la vicenda della ciminiera abbattuta in via Villoresi sia solo l’ultimo passaggio di un progetto nato in un modo e finito in ben altro modo.

Prima di tutto, però, chiede all’amministrazione comunale chiarezza su quanto è avvenuto nel cuore dell’estate, sul percorso che ha portato ad abbattere il manufatto che invece, in tutti gli atti di convenzione pubblico/privato, doveva rimanere parte integrante del progetto.
«C’è una convenzione e a quella l’operatore doveva attenersi, a quella il Comune deve fare riferimento. Non ha senso l’idea che con il permesso della Sovrintendenza venga a decadere quanto concordato. Essendoci una convenzione, con tanto di disegni di riferimento, qualunque opera alternativa deve essere recepita in convenzione».

E neppure il lungo percorso di attuazione del cantiere, di per sé, modifica gli accordi esistenti. «Le convenzioni durano dieci anni e quindi hanno una scadenza. Ma una volta scaduta la convezione non si dovrebbe più fare più opere aggiuntive, di certo non si può abbattere liberamente quanto quella stessa convenzione prevedeva di mantenere». E fa un esempio estremo, per assurdo: «Immaginiamo una convenzione che preveda il recupero per altre finalità di un’ala del castello visconteo. Immaginiamo che dopo dieci anni quella convenzione sia scaduta: alla scadenza il privato potrebbe fare quello che vuole del castello? No di certo».

Pasin contesta anche il mancato controllo sull’area: «Posso capire che è impossibile controllare ogni cantiere sul territorio, ma questo piano era sott’occhio da molti anni, da diverse amministrazioni, era un intervento qualificante. E lo scorso anno lo stesso Calò era intervenuto per richiamare l’azienda ai suoi obblighi e alla cura dell’area».

Analizzando i documenti, però, Pasin si è accorto anche di un altro elemento: la cartografia di progetto riporta, per il piano interrato delle autorimesse, un’area più ampia di quella di superficie, che si avvicina molto alla (fu) ciminiera: «I box sono a 5 metri circa dalla base della ciminiera: visto che ci deve essere un metro di bocca di lupo, diventano 4 metri. Tenuto conto che il basamento della ciminiera sarà anche più largo, fare uno scavo a un paio di metri dal basamento di una ciminiera non deve essere stato semplice, visto che, siccome l’edificio è già stato costruito e la ciminiera demolita, possiamo parlarne al passato».

[le foto id=1183211] Elaborazione grafica di Pasin che mostra (in alto) la vicinanza tra i piani interrati e la base della ciminiera

E adesso, cosa fare di quel moncone rimasto? «Io non sono mai per le ricostruzione, non ha più senso farlo a posteriori. Ma a questo punto quanto successo non può essere ignorato: non si può andare avanti con una operazione che ha perso il valore pubblico dell’intervento, si è ridotta ad una operazione poco più che speculativa. Il parco si era già ridotto da 5mila a 3500 metri quadri, non ci sono più gli appartamenti ad uso sociale e la sala civica» (anche se a scomputo si è intervenuti su tutt’altra area, Largo Sant’Agnese).

Parco, sala, appartamenti dovevano essere riferimento per il quartiere che invece sono ormai passato. Come la ciminiera, che un tempo era simbolo di quel pezzo di Somma e oggi non c’è più.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 22 Ottobre 2020
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