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Enzo Fiano a Gallarate: “Sono un figlio di Auschwitz”

Nella serata organizzata dal conservatorio Puccini la provocazione del figlio di Nedo Fiano, deportato nei lager. "Con la Shoah è successo agli ebrei, la prossima volta può succedere a chiunque altro"

conservatorio Gallarate

«Cosa significa essere il figlio di un sopravvissuto di Auschwitz?».

Dalla domanda posta dal direttore del conservatorio Puccini, Carlo Balzaretti, insieme a Silvia Del Zoppo, a Enzo Fiano, musicista e autore di Charleston, ospitato al teatro del Popolo di Gallarate, è partito il racconto dello scrittore, un vero e proprio fiume in piena che ha catalizzando l’attenzione, l’empatia e il silenzio del pubblico raccoltosi in una fredda sera di fine gennaio.

Le leggi razziali e la deportazione

Fiano nel romanzo ha ripercorso la storia di suo padre, Nedo Fiano, unico sopravvissuto dei tredici componenti della famiglia ai campi di sterminio. Quando furono istituite le leggi razziali, nel 1938, aveva tredici anni e fu espulso dalla scuola che frequentava a Firenze; fino al 1943 riuscì a continuare i propri studi nelle scuole ebraiche.

Dopo l’invasione tedesca e l’avvento della Rsi, cercò di nascondersi dai rastrellamenti, ma nel 1944 fu scovato dai fascisti: «Venne tradito per 5mila lire e venne incarcerato». Dopo un paio di mesi fu trasferito nel campo di concentramento di Fossoli; poi, insieme alla madre – «arrivata a Fossoli, mio padre mi raccontò che gli aveva un vasetto di marmellata, che lui trangugiò con passione» -, fu deportato in Polonia dopo 8 lunghi giorni di viaggio stipati in un carro bestiame, senza mangiare e senza bere.

Scesi dal convoglio, madre e figlio vennero separati per sempre: «Mia nonna aveva capito che non si sarebbero più visti. Lo ha abbracciato e gli ha detto: Se mai tornerai a casa, laureati». La madre finì nella fila delle persone considerate “inadatte al lavoro”, dirette alle camere a gas.

Grazie alla conoscenza del tedesco, insegnatogli dal nonno, Nedo Fiano lavorò come interprete per il comando delle SS; successivamente venne spostato al campo di concentramento di Buchenwald, nella Germania orientale.

«Questo gli evitò “la marcia della morte” che altri prigionieri ebrei – tra cui Liliana Segre – dovettero fare per tornare a casa. Buchenwald fu liberata dagli americani, anche se i prigionieri si erano già ribellati: per lui la liberazione era rappresentata da un’immagine, un soldato nero, alto ed elegantissimo che gli offrì una sigaretta. Era il primo americano che vedeva; fu portato fino ai confini tedeschi e lui tornò a casa in autostop».

La vita dopo Auschwitz

«Non era previsto che io nascessi, così come non era previsto che mio padre sopravvivesse. Lo sterminio degli ebrei presenta una particolarità: Hitler e Mussolini poi hanno progettato e cercato di ultimare tutti gli ebrei non solo in Europa, ma nel mondo intero», spiega lo scrittore, nato 5 anni dopo il ritorno del padre in Italia.

«Lui ha avuto un grande slancio di riprendere la propria vita. Ha avuto la forza di riabituarsi a dormire su un letto, ha imparato di nuovo a mangiare e a lavarsi; tornare dal campo significò ricominciare a tornare a vivere normalmente. All’inizio i superstiti non parlarono della Shoah, perché avevano paura e spesso avevano un senso di colpa nei confronti degli altri 6 milioni e nei confronti della propria famiglia». Tutto ciò fu reso più difficile dal tabù del fascismo: «Non è mai stato realmente accusato, capito e studiato come occorre: sono stati i fascisti della Repubblica sociale italiana hanno rastrellato i circa 8mila ebrei e mandarli ai campi di sterminio».

Una volta tornato alla vita, Nedo Fiano fu un instancabile testimone della Shoah, tra i primi a cogliere il valore pedagogico che potevano trasmettere alle nuove generazioni: scrisse il libro A5405 – Il coraggio di vivere (San Paolo edizioni) e per anni raccontò la sua storia nelle scuole italiane. Dopo decenni trascorsi al servizio degli altri e della memoria, si è spento l’anno scorso.

L’importanza della memoria

Perché è importante passare il testimone della memoria, evitando che la tragedia della Shoah si perda nell’oblio della storia?

«Quella volta è successo agli ebrei, ma la prossima può succedere a chiunque altro. L’ingiustizia è dietro l’angolo, gli eserciti e il branco sono pericolosi: la violenza fascista si ripete ogni giorno in mille modi, nei confronti delle donne, dei diversi e dei deboli. È un male terribile. È difficile capire come queste cose tremende siano potute accadere, ma ci sono delle spie per riconoscerle: nel mondo c’è ogni giorno gente che subisce violenza e ingiustizie», risponde Fiano facendo l’esempio dei palestinesi, dei profughi afghani bloccati al freddo sulla rotta balcanica, al gruppo di ragazze violentate la notte di capodanno in piazza Duomo a Milano e al più recente episodio di antisemitismo avvenuto a Livorno, in cui un dodicenne a due giorni dal giorno della Memoria, è stato picchiato da un gruppo di adolescenti.

E conclude, lanciando una provocazione: «Gli ebrei sono come le persone di Gallarate, non esiste la possibilità stereotipizzante per distinguerli dagli altri. Ma la propaganda nazista lo ha reso possibile, ritraendo gli ebrei come dei ladri, delle zecche, dei parassiti. Io non sento la mia radice ebraica, sento la mia radice di figlio di Auschwitz: quando dico che sono ebreo ateo la gente si stupisce, perché ai loro occhi io sono ebreo».

«Siccome io sono consapevole che il seme instillato instillatoci da Hitler c’è ancora – ed è visibile e funziona ancora oggi – io non posso dimenticare. Questa tragedia viene considerata come una cosa lontana: molti dei sopravvissuti non ci sono più e se non si parlerà del pericolo che si nasconde alla malvagità tutto finirà e sarà vano».

Nicole Erbetti
nicole.erbetti@gmail.com
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Pubblicato il 27 Gennaio 2022
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