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Dalle indagini della Finanza per false dichiarazioni a Varese ai legami coi Casalesi

Il retroscena dell’inchiesta della Finanza che per 25 mila euro di aiuti di stato sospetti arriva a documentare contatti di un imprenditore con la famiglia Bidognetti

Polizia e Guardia di Finanza

A prima vista un importo quasi trascurabile, nell’economia delle sospette truffe ai danni del Stato per gli aiuti covid: 25 mila euro “accesi” presso un istituto di credito di una piccola filiale della laboriosa provincia di Varese. La Finanza però va, trova le carte, accerta, e la magistratura mette da parte beni per equivalente dell’importo erogato dallo Stato per gli aiuti alle pmi in difficoltà per Covid, appunto 25 mila euro arrivati – secondo le accuse che passano dalla non colpevolezza fino a prova contraria – da mendaci dichiarazioni all’atto della sottoscrizione degli aiuti, quando è necessario autocertificare di non essere incorso in procedimenti penali sino all’ultimo grado di giudizio previsti dal decreto legislativo 50 del 2016 il “codice dei contratti pubblici”. Difatti è nelle pieghe di questa operazione che si celano gli ennesimi legami fra Varesotto e criminalità organizzata, quella pesante, la camorra.

L’azienda bisognosa di fondi statali per superare la crisi pandemica, infatti, risulta non essere stata ammessa alla “White List” presso la Prefettura, cioè viene bocciata l’iscrizione di quell’azienda edile di Somma Lombardo all’elenco “dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa”.

False dichiarazioni per ottenere gli aiuti covid: scatta la confisca per un’azienda di Somma Lombardo

Quindi, fuori dalla notizia in sé (cioè il sequestro preventivo richiesto dalla Procura di Varese e disposto dal Gip), perché viene bocciato il nulla osta all’interdittiva antimafia? I motivi sono proprio da cercare nei precedenti penali dell’imprenditore (amministratore unico della società di Somma Lombardo, che attualmente risulta agli investigatori “svuotata” dei beni) colpito da condanna della corte d’Appello di Napoli nel 2014, passata poi “in giudicato“ nel 2016, per il reato di “impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita”.

Le indagini della DDA campana hanno dimostrato – pur in assenza di condanna per associazione mafiosa – l’attiguità dell’imprenditore col potentissimo clan camorristico dei Casalesi, famiglia Bidognetti. Il codice antimafia difatti non richiede prove specifiche bensì è sufficiente la vicinanza di un soggetto ad ambienti mafiosi, vicinanza ampiamente comprovata dalle carte processuali. I proventi illeciti reinvestiti e che hanno portato alla condanna, peraltro, risultavano proprio quelli dei clan.

Pubblicato il 08 Aprile 2022
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