Migliaia di licenziamenti a Facebook e nelle big tech. Perché in Italia è andata diversamente
Le grandi piattaforme digitali coma Google, Meta, Amazon, Spotify stanno licenziando senza alcuna tutela dei lavoratori. In Italia va diversamente e ogni scelta deve essere contrattata con il sindacato
C’è stato un momento in cui Internet era come il re Mida, ogni cosa che toccava si trasformava in oro. Eravamo alla fine del secolo scorso quando la Rete ha iniziato a mettere le basi per il suo sviluppo. Fu un momento di boom per quella che veniva definita la new economy. Lo strapotere delle piattaforme era ancora sotto traccia e sembrava che Internet fosse la soluzione a ogni problema. C’era l’illusione di essere di fronte a un nuovo Eden dove trionfava il bene e la democrazia. Nuovi lavori strapagati, biglietti da visita con nomi di mansioni sconosciute. Da lì a poco precipitammo in una crisi pesantissima e ne abbiamo qualche esempio anche in casa nostra. Basti pensare a Opengate, fallita proprio per la pesante crisi finanziaria.
Quello che successe dopo lo conosciamo bene perché 15 anni fa arrivarono gli smartphone e i social iniziarono a imporsi. Su tanti furgonicini si leggeva quel www che pochi ancora sapevano bene a cosa servisse. Le grandi piattaforme iniziarono a crescere e diventare colossi mondiali incontrastati. La Silicon Valley era il miraggio perché tutta l’innovazione passava da lì. Vista dalle nostre latitudini sembrava che bastasse avere un garage per dar vita alle start up il cui sogno era diventare unicorni, ovvero avere finanziamenti miliardari.
Per venticinque anni, a ragione, abbiamo continuato a parlare di ritardi del nostro paese, di troppa burocrazia, di un sistema fatto di troppe garanzie e poca flessibilità. Insomma, l’Italia sconta un atavico problema culturale in casa propria diventando invece un grande fornitore di talenti negli altri paesi. Non c’è big tech che tra i propri dirigenti di primo livello non abbia un italiano.
Ora per la prima volta siamo a un nuovo punto di frattura di tutto il sistema digitale. Quelle piattaforme che promettevano uno sviluppo travolgente e inesauribile annunciano giorno dopo giorno tagli ai propri organici. Riduzioni anche pesanti e gestite come nella peggiore “macelleria sociale” andando a prendere un termine che sembrava esser andato in soffitta. Google licenzia 12mila persone e negli Stati Uniti, che copre metà di quei tagli, alle persone è arrivata una email nella notte in cui si comunicava che era finita la propria carriera. Mariti e mogli, donne in stato di gravidanza, situazioni fragili. Licenziamenti come fossimo nell’Ottocento. E non è andata meglio a Meta, la società proprietaria di Facebook, Instagram e whatsapp, ad Amazon, Spotify, solo per citare le più grandi e conosciute. Twitter con il passaggio di proprietà a Musk, patron di Tesla, aveva fatto da apripista e le altre sono andate dietro e pare si sia solo all’inizio.
E dalle nostri parti come è andata? Diversamente. E guarda un po’ abbiamo riscoperto l’importanza di un sistema fatto di tutele e attenzioni verso i lavoratori. Facebook aveva chiesto 23 licenziamenti, ma la contrattazione ha portato alla metà dei tagli e tutti su base volontaria.
A Google per ora tutto tace, ma l’Italia sarà uno degli ultimi paesi dove verranno presi provvedimenti di riduzione della forza lavoro proprio in virtù della presenza di vincoli legislativi e sindacali.
È una storia che suggerisce diverse riflessioni perché se da una parte è vero che un sistema di tutele rischia di rallentare lo sviluppo, dall’altra mette un vero freno allo strapotere delle Big tech. La riflessione che avevano aperto Susanna Camusso, allora segretaria della Cgil e Marco Bentivogli della Fim sulla necessità di conoscere l’algoritmo e fare i conti con nuovi scenari, si dimostra sempre più attuale.
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