Area Cantoni, un “buco nero” nel centro di Gallarate
Nella primavera 2012 le ruspe abbatterono la vecchia fabbrica d'inizio Novecento. Da allora l'area è completamente abbandonata, sono stati cambiati anche i progetti ma nulla è partito: un vuoto urbano in una zona centralissima, in mezzo ad edifici abitati o usati da centinaia di persone ogni giorno

L’archivio online di VareseNews dice che sono passati undici anni, quasi esatti. Era il maggio del 2012, quando le ruspe abbatterono quanto rimaneva della fabbrica Cantoni, nel centro di Gallarate. Stabilimento storico – con edifici interessanti – che doveva lasciare il posto a nuove costruzioni che, per le dimensioni dell’intervento, si può quasi considerare con un quartiere. Un intervento mai partito.
Ma cosa è oggi, a distanza di undici anni, quell’area?
La domanda se la pongono, di tanto in tanto, i gallaratesi. I brandelli di muri rimasti nascondono l’area all’interno, abbandonata da un decennio, visibile più che altro a chi abita ai piani alti dei palazzi circostanti. Un “buco nero” dal punto di vista urbanistico, anche se all’interno il colore prevalente potrebbe essere il verde della vegetazione spontanea che ha riconquistato lentamente lo spazio.

La domanda sul destino dell’area la pone ora, con una interrogazione a risposta immediata in consiglio comunale, anche il Pd gallaratese, che parla di “disagio e allarme nei confronti di tutti i gallaratesi che hanno il diritto di vivere in modo ordinato, pulito e sicuro” e chiede “se il piano attuativo relativo alla suddetta area risulta scaduto” e come si intenda procedere.
L’area era infatti al centro di un progetto di rinnovo, come si diceva: presentato dal privato proprietario, un progetto di queste dimensioni e natura richiede l’approvazione da parte del consiglio comunale, perché ha un impatto che non è solo “privato” ma anche pubblico. Nel caso specifico il vasto intervento edilizio era stato votato nel 2010, in anni ancora di grande rinnovamento edilizio sotto la giunta Mucci, centrodestra “monocolore” del PdL.
Prevedeva edifici di tipo “urbano” affacciati direttamente sulla strada e, all’interno dell’isolato, una torre alta 70 metri.

Nel 2018 il progetto presentato dal privato venne modificato radicalmente dalla giunta: la volumetria venne concentrata su tre edifici a torre, proposti per una altezza di 20, 17 e 13 piani, circondati da spazi prevalentemente a parcheggio.
In termini di volumetria, era stata ridotta ma anche rivista nelle funzioni: aumentava la parte residenziale (circa 1300 metri cubi in più) e quella commerciale (più del doppio), mentre diminuiva drasticamente quella dedicata al terziario, vale a dire a uffici (quasi un quarto di quella prevista nel vecchio progetto). E compariva anche una quota di 767 metri cubi di housing sociale.

Fin qui i progetti.
Poi c’è la concretezza. E la concretezza dice appunto che da maggio 2012, quando si presentarono le ruspe, l’area è solo una distesa inutilizzata, cinta dai resti di muri semidemoliti. Da un punto di vista tecnico, quell’intervento serviva probabilmente ad avviare formalmente il cantiere, con la sola fase di demolizioni. A cui non è mai seguito un intervento edilizio, complici le incertezze dell’edilizia dopo l’ubriacatura edilizia del primo decennio del XXI secolo, prima della grande crisi.

Quali sono i termini della questione, lo si saprà in consiglio comunale settimana prossima (17 giugno). È un caso interessante perché ripropone il tema del diritto dei privati – proprietari delle aree – e dei diritti della collettività: l’enorme area dismessa oggi giace tra palazzi (anche di pregio), l’ospedale, una casa di riposo e centro di aggregazione, un asilo, due scuole.
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