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Da imputata a vittima, così è cambiata la sorte dell’ex-assessore di Cassano Magnago nel processo Mensa dei Poveri

Dopo la richiesta di assoluzione da parte dell'accusa è arrivato il momento della difesa che ha ricostruito la vicenda: "Ha consegnato quei soldi in uno stato di forte soggezione"

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Paola Saporiti, ex-assessore a Cassano Magnago, uscirà probabilmente a testa alta dal processo Mensa dei Poveri che l’ha vista come imputata per corruzione per aver dato una mazzetta da 500 euro a Nino Caianiello, principale protagonista di questa vicenda giudiziaria che ha patteggiato 4 anni e 10 mesi.

Quei soldi erano stati dati dopo un lungo lavoro ai fianchi della donna che all’epoca era assessore nella giunta di Nicola Poliseno, sostenuta da Forza Italia e quindi anche dall’allora coordinatore ombra Nino Caianiello. Quell’immagine catturata dalle telecamere nascoste, posizionate ai tavoli del bar Hausgarden di Gallarate (denominato da tutti “l’ambulatorio” di Nino Caianiello), non raccontava una tangente, una dazione volontaria, ma una sorta di estorsione.

«La mia assistita è entrata in questo processo da imputata ma ne deve uscire come vittima» – ha detto durante le sue conclusioni l’avvocato Cristina Marrapodi, forte anche della richiesta di assoluzione che il pm Stefano Civardi aveva chiesto nella requisitoria.

Quei 500 euro altrimenti detti “la decima” servivano a finanziare in parte il partito con tutte le sue articolazioni ma soprattutto foraggiavano Caianiello, disoccupato di lusso col pallino del potere. Lui, insieme ad Antonio Frascella (anche per lui è stata chiesta l’assoluzione) e a Salvatore Maida (non indagato), avevano indotto la Saporiti a credere che il posto nel collegio dei sindaci di Alfa per la sorella Giovanna fosse arrivato grazie alla logica spartitoria caianiellana e così anche l’assunzione del marito (affetto da una malattia degenerativa) in Sieco. Caianiello avrebbe approfittato del suo stato di soggezione e bisogno, per via della malattia del marito, per irretirla e farle pagare la somma.

Accusa e difesa sono giunti alla stessa conclusione e cioè che Caianiello non avesse giocato alcun ruolo nell’assunzione della sorella e del marito o, perlomeno, non vi sono elementi per poterlo provare. Anzi, ad aumentare il livello di soggezione sarebbero state un paio di lettere di richiamo da parte della dirigenza di Sieco al marito proprio nei mesi in  cui si è poi concretizzata la dazione di danaro.

Per il resto dell’udienza di oggi sono stati i difensori di Diego Sozzani a tenere banco, l’ex-parlamentare piemontese di Forza Italia è accusato di finanziamento illecito della propria campagna elettorale. I legali hanno sostenenuto la totale estraneità del loro assistitito in quanto non che non vi sarebbe una prova documentale che colleghi il giro di soldi tra due società di ingengneria e lo stesso Sozzani. Le conclusioni dei difensori di Paolo Orrigoni e di Tigros sono slittate all’udienza di lunedì 29 maggio.

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it
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Pubblicato il 22 Maggio 2023
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