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Una sospetta appendicite era in realtà una trombiosi dell’arteria renale: l’uomo salvato all’ospedale di Busto

Il caso oggetto di uno studio pubblicato su una prestigiosa rivista scientifica statunitense

dottor paolo ghiringhelli

Quattordici professionisti di ASST Valle Olona, diretti dal dott. Paolo Ghiringhelli, direttore di struttura complessa e primario dell’Unità Operativa Complessa di Medicina 2 dell’Ospedale di Busto Arsizio, e dalla dott.ssa Anna Maria Socrate, direttore dell’U.O. di Chirurgia Vascolare, hanno partecipato alla realizzazione di uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Medires, una rivista statunitense diffusa in tutto il mondo.

Il caso in oggetto ha riguardato una sospetta appendicite cecale rivelatasi, a seguito di approfondimenti, una trombosi dell’arteria renale. Il paziente, ecuadoregno di 48 anni, si è presentato presso il Pronto Soccorso di Busto Arsizio con sintomi quali febbre, dolore, leucocitosi, ed è stato sottoposto ad accertamenti per sospetta appendicite acuta. A seguito dell’esecuzione di una TC addominale e del successivo studio angiografico è stata rilevata la presenza di un’area infartuata renale destra.

Ricoverato presso la Chirurgia Vascolare, è stato successivamente trasferito presso il reparto di Medicina, dove si è rilevata la doppia positività agli anticorpi fosfolipidici, oltre alla presenza di elevati valori dei trigliceridi.

Dal momento che la manifestazione dei sintomi di infarto renale non sono apertamente patognomonici, non consentono quindi di indirizzare con prontezza il percorso diagnostico, spesso il tempo che intercorre tra l’insorgenza dei sintomi e la diagnosi è di oltre due giorni, per questo meno del 50% dei pazienti ricevono una diagnosi tempestiva.

Nel caso del paziente curato a Busto Arsizio le caratteristiche del dolore lamentato ha orientato l’equipe medica a sottoporlo, immediatamente, ad una TC spirale che ha consentito di inquadrare il reale problema del paziente e di avviare quindi prontamente il trattamento più idoneo.

Il paziente, trattato durante la degenza con eparina, è stato dimesso con una terapia anticoagulante a base di Warfarin: per ridurre la diatesi pro trombotica, facilitata dalla presenza di anticorpi anti fosfolipidi (confermati a due mesi dal ricovero) e dalla sua dislipidemia e, in particolare, l’ipertrigliceridemia.

La terapia con Warfarin è stata prescritta poiché, in questo caso, sono controindicati gli inibitori diretti della coagulazione. Per ridurre il rischio cardiovascolare sono stati inoltre attivati, oltre i provvedimenti farmacologici, anche quelli dietetici e in generale sullo stile di vita.

«La brillante gestione del caso dimostra, una volta di più, come i professionisti del nostro Ospedale siano dotati delle competenze e delle tecnologie necessarie ad offrire a tutti i pazienti un corretto inquadramento patologico e l’avvio delle migliori terapie che la medicina moderna consente» sottolinea Paolo Ghiringhelli.

Pubblicato il 30 Aprile 2024
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