A Busto ascoltano la “protesta silenziosa” degli studenti della Serbia
Nel novembre 2024 l'avvio dei cortei, dopo un crollo alla stazione di Novi Sad: contestano il governo a Belgrado e la corruzione. Al circolo Gagarin hanno tenuto un incontro per capire ragioni, rivendicazioni e metodo di una mobilitazione che dura da sette mesi

Il 1° di novembre del 2024, nella seconda città della Serbia, Novi Sad, il crollo della pensilina della stazione ferroviaria ha causato 16 morti.
Una tragedia che – nella casualità -ha colpito in particolare le generazione dei ventenni e che ha dato inizio alle proteste degli studenti in Serbia: durano ancora oggi, dopo sette mesi di mobilitazione, assemblee e marce.
«Gli studenti delle diverse facoltà università si stanno ribellando a uno Stato criminale e corrotto, facendosi paladini di una battaglia di civiltà. Ragazze e ragazzi che stanno lottando per non lasciare la loro terra» dice Samantha Colombo, giornalista esperta di Balcani, intervenuta ad un incontro organizzato al circolo Gagarin di Busto Arsizio, per raccontare le proteste, nel nome di una solidarietà internazionale diffusa anche in Italia (da mesi in particolare a Venezia e Trieste ci sono iniziative di sostegno).
Nella sala del circolo era ospite anche Bojan Mitrović, storico dell’Europa orientale, belgradese di origine e oggi a Trieste. «In Serbia si è imposta una democratura, che è radicata nel capitalismo mondiale, con alla guida un trapezista della politica come il presidente Vučić: un uomo capace di fare affari con tutti, con gli USA e Trump, con l’Europa sull’estrazione di litio e sul controllo dei migranti, con i cinesi e la loro “via della seta”», fino ad arrivare agli arabi che hanno costruito la “Dubai dei Balcani” a Belgrado, al posto del vecchio porto sul fiume Sava e della vecchi stazione Centrale.
L’indignazione degli studenti per il crollo della pensilina ha subito messo sotto accusa la qualità dei lavori del rinnovo (affidato a ditte cinesi) della ferrovia Belgrado-Novi Sad. Ma si è saldata anche a precedenti proteste, come quelle contro gli accordi con la compagnia mineraria americana Rio Tinto.

Una protesta disciplinata, che ha conquistato man mano la solidarietà di varie categorie. All’inizio era la “protesta del silenzio”: «Dopo la caduta pensilina Novi Sad sono partiti con 15 minuti di silenzio per le 15 vittime. Poi dopo la morte di un ferito i minuti sono diventati 16» racconta ancora Mitrović. Non violenza, metodo assembleare (rinunciando anche al vantaggio di creare leader riconoscibili), inclusione di ogni idea sono divenuti punti di forza: «Nelle assemblee c’è un rispetto assoluto di tutti, a prescindere dall’orientamento politico».
L’organizzazione interna ha consentito di evitare errori e cedimenti, anche di fronte alle provocazioni inscenate dal governo del Vučić o portate avanti da anonimi picchiatori mascherati, fin dalle prime proteste a Novi Sad, prima dell’approdo nella capitale.
Insieme ai minuti di silenzio, l’altro simbolo potente sono state le marce: «A piedi, lungo le statali, attraversando paesi e cittadine, entrando in contatto con le persone. La prima è stata quella da Belgrado a Novi Sad, poi per un periodo si è organizzata una marcia ogni due settimane, su distanze anche di 100-150 km. Le marce sono state commoventi: nell’inverno più duro si vedevano gruppi di cento ragazzi in marcia attraverso i villaggi, con gli anziani – anche poverissimi come molti pensionati in Serbia – che uscivano di casa per offrire frutta o bevande agli studenti». In primavera novanta studenti, tra cui dieci donne, sono andati poi in bici da Novi Sad fino a Strasburgo, con il coinvolgimento della consistente diaspora serba in Germania e Austria.

Le proteste hanno toccato anche le aree periferiche della Serbia e man mano “sul campo” si è creata una saldatura tra gli studenti, gli abitanti delle campagne (tradizionalmente piuttosto conservatori) e anche una parte dei veterani delle guerre degli anni Novanta, una categoria che solitamente è molto nazionalista e conservatrice ma che ha aderito. Perché, come già nelle precedenti proteste contro Rio Tinto – l’esasperazione di fronte alla corruzione e all’affarismo della politica è anche molto trasversale. Le rivendicazioni, all’opposto, sono puntuali: la pubblicazione dei documenti sui lavori alla stazione di Novi Sad, l’apertura di un processo per accertare i responsabili, infine l’identificazione dei picchiatori che hanno aggredito gli studenti.
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La politica dei partiti resta in gran parte estranea: «L’opposizione politica fa ben poco. Va detto che ha vinto solo due municipalità in tutto il Paese, tutti i livelli sono in mano al Partito Progressista di Vucic, quindi non è facile fare opposizione. Ma in generale si è rivelata strutturalmente incapace di dare risposte e sostenere la protesta. Gli studenti protagonisti delle proteste non si candideranno, anche perché non esistono capi riconosciuti , anche in tv fanno a rotazione. Si impegneranno come scrutatori. La lista di opposizione sarà composta da professori, persone della società civile, alcuni esponenti dei partiti».

Si è notato anche che in Serbia ben poche sono state le bandiere della Unione Europea sventolate nel corso delle proteste. Perché l’Unione non è considerata un vero interlocutore e anzi è considerata in affari con il governo Vučić, al di là delle dichiarazioni sui princìpi democratici. «La “Fortezza Europa” sta costruendo quelli che chiamo i regni romano-barbarici, dove c’è convenienza reciproca ad avere Stati autoritari alle porte, per tenere fuori i migranti e insieme fare affari con i politici».
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