Don Matteo: “Attraversare la Porta Santa è solo l’inizio. Il Giubileo rimette al centro il perdono e la speranza”
Dal ricordo luminoso del Giubileo del 2000 all’impegno pastorale di oggi. Don Matteo Resteghini sarà ospite allo spazio libero di Materia a Castronno dove terrà un incontro dal titolo “Le chiese giubilari in provincia di Varese”

Don Matteo Resteghini è vicario della pastorale giovanile della parrocchia San Giovanni Battista e responsabile della pastorale giovanile della città di Busto Arsizio. Mercoledì 29 maggio alle ore 21 sarà ospite allo spazio libero di Materia a Castronno, dove terrà un incontro dal titolo “Le chiese giubilari in provincia di Varese”, un’occasione per scoprire, in collaborazione con Archeologistics, la ricchezza spirituale e culturale di questi luoghi. (foto sopra, don Matteo Resteghini)
Don Matteo, qual è stato il primo Giubileo a cui ha partecipato?
«È stato il Giubileo del 2000. Me lo ricordo bene perché ho vissuto due momenti molto significativi. Il primo è stato un pellegrinaggio alla Basilica di Gallarate. Già ai tempi quella Basilica era stata scelta come luogo giubilare, e noi, come gruppo di ragazzi in preparazione alla Cresima, abbiamo fatto lì il nostro ritiro. Io ero in prima media ed è stato un momento gioioso, un po’ un’avventura: abbiamo anche dormito fuori, per terra, ai tempi era una cosa divertente. Ho un ricordo molto bello di quei giorni. Il secondo momento è stato ancora più entusiasmante: il Giubileo dei Chierichetti, sempre nel 2000. Era la prima volta che andavo a Roma. Ci siamo arrivati in treno, quei treni con gli scompartimenti da sei persone, vecchi ma affascinanti. Ricordo che abbiamo viaggiato di notte, dormendo tutti insieme su quei sedili abbassati. C’era anche una puzza tremenda di freni, ma eravamo felici. La prima immagine che ho appena arrivati è quella del colonnato di Piazza San Pietro. Siamo entrati lateralmente, dalla porta Sant’Anna, e mi ricordo la meraviglia di vedere la piazza aprirsi davanti a noi, immensa. Ero senza cellulare, quindi l’unica cosa che potevo fare era guardare davvero: il colonnato, il Cupolone, la Basilica. Don Paolo, il mio prete dell’epoca, ci indicava le varie parti della piazza, la casa del Papa. Fu un momento profondamente entusiasmante. E poi c’è il ricordo di Giovanni Paolo II che passa in papamobile. Anche quello, indimenticabile. Un altro momento molto bello è stato l’incontro con il Cardinale Martini, nel parcheggio del Gianicolo: tutti i chierichetti di Milano lì riuniti, un saluto semplice e indimenticabile. Bellissimi ricordi».
Da giovane sacerdote, come vive questo tempo di grazia che è il Giubileo? «Innanzitutto noto la differenza tra i vari Giubilei che ho vissuto: come sacerdote ho partecipato a quello della Misericordia, all’Anno sacerdotale, tutti i Giubilei straordinari, ognuno con un tema preciso, come appunto la misericordia. Quello che stiamo vivendo ora invece ha una forza diversa, perché attinge alla radice profonda della tradizione, che parte dall’ebraismo. Il Giubileo è un tempo che ci invita a “ripartire”, non nel senso di dimenticare o cancellare tutto, ma nel senso di tornare a ciò che ci rende davvero umani, fratelli e sorelle. Io cerco di aiutare anche la mia comunità a vivere questo tempo così. Non sempre ci riesco, ma provo a dire: ripartiamo dalla bellezza della nostra fede, dal perdono. Perché il Giubileo ha proprio il perdono al centro. Il perdono non è dimenticare quello che è accaduto, ma andare avanti con speranza, nonostante ciò che si è vissuto. Mi piace anche il simbolo della Porta Santa: è una soglia, un passaggio. Ogni giorno attraversiamo porte, di casa, del lavoro, dell’ospedale. La Porta Santa ci ricorda che siamo chiamati a non restare fermi, a metterci in cammino. Solo a Roma ci sono le Porte Sante, proprio per ricordarci l’importanza del pellegrinaggio: dobbiamo muoverci, fisicamente e spiritualmente».
Come vi state preparando con la parrocchia al Giubileo?
«La nostra parrocchia, San Giovanni Battista di Busto Arsizio, è stata scelta come chiesa penitenziale: quindi mettiamo a disposizione sacerdoti per le confessioni, diventando punto di riferimento per chi vuole vivere questo aspetto del Giubileo. Oltre a questo, abbiamo organizzato molti momenti di preghiera e iniziative culturali, con l’aiuto anche di associazioni e gruppi locali. In particolare abbiamo valorizzato tre momenti: un pellegrinaggio a Roma, già vissuto, per tutta la città. Una Via Crucis dal centro al carcere di Busto Arsizio, il Venerdì Santo, un’esperienza molto intensa. Il Corpus Domini all’ospedale di Busto, per portare la presenza di Dio sia tra i carcerati che tra i malati, due ambiti spesso dimenticati, ma che il Giubileo ci invita a rimettere al centro. Stiamo anche organizzando diversi pellegrinaggi a Roma: io stesso ci tornerò questa domenica con un gruppo di 40 adulti, in giornata. Passeremo la Porta Santa, parteciperemo alla Messa e poi torneremo. Tutte le nostre attività, anche l’oratorio feriale, sono ispirate al tema del “varcare la soglia”, scelto dalla diocesi: è un tema che accompagnerà ogni nostro passo».
Se potesse lasciare un messaggio ai suoi coetanei o a chi è lontano dalla fede, cosa direbbe in questo anno giubilare?
«Direi che comprendo quanto oggi sia difficile per molti avvicinarsi alla Chiesa: scandali, delusioni, testimonianze sbagliate pesano molto, soprattutto sui giovani. Però l’anno giubilare ci chiede misericordia verso noi stessi, verso gli altri, anche verso chi ha sbagliato. Ma non è solo questo. Il Giubileo ci ricorda che c’è qualcosa di più grande di noi. Io ho la grazia di incontrare ancora persone che credono, che testimoniano la bellezza della fede anche nelle difficoltà. E questo è un messaggio forte, un messaggio di speranza. Papa Francesco ha scelto una parola chiave per questo Giubileo: “speranza”. Pellegrini della speranza. In un mondo ferito da guerre, violenze, disillusione, questa parola ci aiuta a guardare oltre. Ai giovani e anche a chi non crede direi che la speranza è un motore. Ti permette di metterti in gioco, di dire: “Io posso fare del bene”. E questa, alla fine, è una chiamata che riguarda tutti. È una chiamata all’umanità».
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