La storia di Rocco Chinnici entra nel carcere di Busto Arsizio grazie ad un libro scritto dal nipote Alessandro
Il capitano dell'Arma Alessandro Averna Chinnici lo ha presentato ad un gruppo di detenuti nell'ambito di BA Book, il festival del libro in corso in città

Ha portato la storia di suo nonno in carcere, tra i detenuti, da scrittore e cittadino impegnato per la legalità ma anche da capitano dei Carabinieri, ora di stanza a Faenza.
Alessandro Averna Chinnici è il nipote di Rocco Chinnici, il magistrato che ha aperto la strada ad un nuovo modo di combattere la mafia, poi battuta da Giovanni Falcone (con cui ha lavorato), Paolo Borsellino e molti altri colleghi: «Di mio nonno si parla meno ma anche lui merita di essere ricordato al pari dei due magistrati uccisi in due diversi attentati mafiosi. Fu ucciso anche lui in un attentato, a Palermo nel 1983, quando la mafia non era ancora considerata un problema nazionale».
Alessandro Averna Chinnici lo racconta nel libro che ha presentato all’interno della casa circondariale di via per Cassano, a Busto Arsizio, nell’ambito del festival BA Book in collaborazione con la direzione dell’istituto e dell’area trattamentale. Accanto a lui anche l’assessore alla Cultura Manuela Maffioli e la direttrice della biblioteca Claudia Giussani.
Il titolo del libro è “Rocco Chinnici, storie di un giudice rivoluzionario e gentile”, scritto a quattro mani con il giornalista Riccardo Tessarini: «È il frutto di un lavoro durato due anni e mezzo» – ha detto durante l’incontro con un gruppo di detenuti che hanno partecipato attivamente alla presentazione ponendo molte domande.
«Dalle testimonianze che ho raccolto e dai racconti di famiglia emerge l’immagine di un uomo dedito al lavoro ma anche di un rivoluzionario perchè cambiò il metodo di indagine sulle cosche mafiose istituendo il primo pool antimafia, un uomo gentile ed empatica che capì per primo che era necessario parlare ai giovani, agli studenti per instillare il seme della legalità». [lefotoid=1871470]
I frutti arriveranno negli anni successivi al suo sacrificio e a quello dei due carabinieri della scorta (il maresciallo Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta) e il portiere dello stabile in cui viveva, Stefano Li Sacchi. Uno di quei frutti, oltre al primo maxi-processo che porterà ad una pioggia di ergastoli, sarà proprio il nipote che non lo ha potuto conoscere, Alessandro, che anche per quei due carabinieri morti accanto al nonno deciderà di intraprendere la carriera nell’arma.
«Non provi mai rabbia?» – gli viene chiesto, ma la risposta è netta «sì, soprattutto se penso che tanti cittadini di Palermo sapevano dell’attentato ma non dissero nulla, anzi spostarono le auto perchè non venissero coinvolte nell’esplosione. Anche noi Carabinieri siamo uomini come voi con tutto il nostro carico di sentimenti e storie personali» – ha detto ai presenti.
Qualcun altro chiede «perchè tuo nonno non è ricordato come Falcone e Borsellino?» e il giovane capitano risponde: «Di mio nonno si parla poco, è vero. Lui fu ucciso quando la mafia non era ancora considerata un problema, in primis dai cittadini siciliani eppure il problema non era delle istituzioni ma dei cittadini che dovevano pagare il pizzo».
«Oggi è facile pronunciare i nomi di Falcone e Borsellino, come se fossero un brand tipo Dolce e Gabbana. Per alcuni basta questo per mettersi sotto la bandiera della legalità».
Infine un appello a quei detenuti che lo hanno ascoltato e applaudito a più riprese: «Nei vostri volti non vedo dei criminali ma delle persone che hanno una storia alle spalle. Siate voi il cambiamento, così come i giovani possono essere il cambiamento della società».
Soddisfatta per la riuscita dell’evento l’assessore Maffioli che ha ringraziato la casa circondariale per la collaborazione sul fronte culturale: «Oltre alla presentazione del libro abbiamo portato qui anche alcune opere di fiber arte e in estate arriverà anche la musica. Anche attraverso la cultura si fa reinserimento e riabilitazione».
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