Verde, bianco e rosso
di Sara Agostino

6 giugno 1946. Elena da quattro giorni aveva compiuto dieci anni. Stringeva tra le mani una piccola bandiera sgualcita: tre bande verticali, verde, bianca e rossa.
Tutta la famiglia, riunita intorno alla radio poggiata sul camino, ascoltava con speranza l’atteso annuncio: “l’Italia è una Repubblica! È nata la Repubblica Italiana!”.
Elena non capiva quella parola, Repubblica. L’aveva sentita da suo papà, quando qualche volta lo aveva aiutato a lavorare nei campi, insieme allo zio, che viveva con loro.
“Le cose devono cambiare” diceva, “ne abbiamo bisogno, ne abbiamo sopportate troppe con la guerra”. Lei coccolava tra le mani quella bandiera, ormai ridotta a uno straccio, cucita a mano dalla mamma.
Ciascun colore le ricordava gli orrori che aveva vissuto.
Il verde era il campo di grano acerbo in cui un giorno, sotto una pioggia di bombe, aveva visto morire la sua amica Barbara. Insieme frequentavano il corso di cucito organizzato dalle suore in chiesa. “Entra qui!” le aveva gridato dalla porta della stalla. Ma Barbara, trascinata dalla madre, aveva continuato a correre verso la campagna. Una prima bomba esplose nel campo. Elena piangeva, vide Barbara girarsi verso di lei, con la disperazione che le segnava il viso. Un altro ordigno esplose più vicino, e la vide saltare in aria.
Il bianco era il colore del fazzoletto che gli uomini di famiglia sventolavano dalle finestre, prima che tre tedeschi entrassero in casa urlandoWo sind die Waffen?”. “Dove sono i fucili?”. Avevano legato suo padre e lo zio, insieme ai fratelli, e messo loro una bomba in vita, li avevano fatti sedere sui davanzali delle finestre ai piani superiori, con le gambe a penzoloni, visibili a tutti, familiari e abitanti del villaggio. “Wo sind die Waffen? Wo sind die Waffen?” urlavano, e cercavano i fucili. Prima sotto ai letti, poi nelle camere delle bambine. Rovistavano ovunque, svuotavano i cassetti, disfacevano i letti rifatti al mattino. E poi erano passati alla stalla, nella mangiatoia delle mucche, e in mezzo al fieno accatastato. Non frugarono bene, perché l’unico fucile che suo padre avesse mai posseduto, usato per andare a caccia, era stato nascosto sotto il fieno la mattina stessa.
Infine, il rosso le ricordava la nascita prematura di suo fratello Pino, venuto al mondo in una buca scavata nel terreno, due mesi prima del previsto. La disperazione della mamma, che aveva già sopportato sei volte il parto, ma che non si era di certo mai aspettata di doverlo vivere nascosta in una buca, con i suoi figli accanto, sotto il suono delle sirene antiaeree. “Pino, Pino” urlava, mentre il suo ultimo figlio faceva il primo vagito. I colori della bandiera che teneva fra le mani erano questo per Elena, e lo sono anche oggi che è una nonnina di novant’anni.
2 giugno 2025. Suona il campanello. Elena si sveglia, seduta sulla poltrona del salotto, dove si era addormentata. È sua figlia Barbara. “Vieni, in TV la cerimonia per la Festa della Repubblica!” e alle prime note dell’inno, le viene in mente il sogno appena fatto. “Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò!”.
Racconto di Sara Agostino (www.ilcavedio.org), in occasione della Festa della Repubblica, settantanovesimo anniversario.
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