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“Lavorare meno e redistribuire il lavoro”

Al circolo di Samarate un confronto su settimana corta, salari e futuro del lavoro, partendo dal libro di Giorgio Maran. Con un richiamo a produttività e scenari strategici: "Pensare di stare in piedi senza un’industria che funziona è fuori dal mondo"

giorgio maran

«Come partito di sinistra penso che il tema del lavoro sia cruciale, credo che come Pd dovessimo quantomeno creare una forma di dibattito» così Edoardo Macchi ha aperto la serata al Circolo Cooperativa di Consumo di Samarate, il 18 novembre alle 21, in occasione di una serata di confronto dal titolo «Lavorare meno, lavorare meglio?». L’iniziativa, organizzata dal Partito Democratico e dai Giovani Democratici, aveva l’obiettivo di mettere al centro «la qualità del lavoro e dei salari in provincia di Varese», inventando ospiti come Giorgio Maran, sindacalista e attivista, e Noemi Cauzzo, avvocata attiva nel mondo del diritto del lavoro, ad intervenire sul tema.

Il livello degli interventi è stato definito «una compensazione straordinaria» che ha reso la serata densa e appassionata. L’appuntamento non era solo un incontro tematico, ma il tentativo di aprire, dentro e fuori il partito, uno spazio di riflessione su ciò che il lavoro rappresenta oggi per la società italiana e per un territorio come quello varesino.

Le trasformazioni tecnologiche, gli orizzonti della settimana corta, la questione salariale e la necessità di ripensare modelli organizzativi sono stati identificati come nodi su cui «bisogna rivedere tutte le convinzioni novecentesche» e, soprattutto, avere «coraggio e fare scelte importanti».

La storia che parla: dalle 16 ore al giorno alle rivendicazioni moderne

Giorgio Maran ha proposto una ricostruzione storica della riduzione dell’orario di lavoro, spiegando come essa non sia mai stata un dono della tecnologia, bensì una conquista: «La storia dell’orario è legata ai cambiamenti della società umana e alla storia del movimento dei lavoratori». Ha ricordato l’epoca in cui si lavorava «14–16 ore al giorno» e l’obiettivo delle otto ore scandito dai martiri di Chicago del 1886. Maran non ha perso occasione per sottolineare che il miglioramento delle condizioni di lavoro non è lineare nel tempo: «Noi oggi lavoriamo più o meno come un minatore del 1600 e più di un contadino del 1200». Riguardo la previsione di Keynes del 1920, quando ipotizzava un futuro in cui si sarebbe lavorato pochissimo, Maran osserva: «Sull’orario si sbagliava: non abbiamo liberato completamente il nostro tempo». Secondo il sindacalista, la previsione fallì perché si interruppe «la nostra capacità di rivendicare tempo in più».

giorgio maran

Ad avviso di Maran, le condizioni materiali per ridurre l’orario di lavoro oggi esistono, ha argomentato citando anche le tre proposte di legge depositate in Parlamento dagli schieramenti di minoranza. L’idea non è quella di comprimere ulteriormente le vite dei lavoratori, ma di restituire tempo reale, diverso dalle ferie aggiuntive. «Una parte dei modelli francesi si è tradotta solo in più ferie – approfondisce in ottica di comparazione – ma questo non cambia in profondità le abitudini di vita», ha osservato, guardando agli errori da non ripetere nel caso italiano. L’effetto atteso, secondo gli studi citati dall’attivista, sarebbe duplice: metà delle ore ridotte verrebbe recuperata tramite innovazione organizzativa, mentre l’altra metà genererebbe nuova occupazione. In altre parole, «lavorare meno significa anche ridistribuire il lavoro».

 

Il quadro varesino: salari bassi e terziarizzazione senza qualità

L’intervento dell’avvocata Noemi Cauzzo ha portato la discussione sul terreno concreto della provincia di Varese, dove la qualità del lavoro è messa sotto pressione da dinamiche strutturali. «In una provincia molto produttiva stiamo affrontando la crisi post industriale e una fortissima terziarizzazione», ha spiegato. La contraddizione più evidente resta quella salariale: «Siamo quelli che in Europa lavorano il numero di ore maggiori, ma questo non si traduce nei salari più alti, né in qualità del lavoro».

La vicinanza con la Svizzera acuisce il problema: «A 20 km le persone che lavorano nel 50-60% dei casi portano a casa più del doppio di chi in Italia lavora a tempo pieno», ha ricordato, definendo la situazione una concorrenza tutt’altro che leale. La relatrice ha poi sottolineato il peso del part-time involontario, che riguarda soprattutto donne e giovani, e che rende difficile anche solo immaginare una riduzione dell’orario senza affrontare il nodo dei salari: «Forse in questo momento non ce lo possiamo nemmeno permettere».

La contrattazione come strada, ma non l’unica

Entrambi i relatori hanno riconosciuto il valore della contrattazione aziendale, ma anche i suoi limiti. Maran ha avvertito: «Il rischio è che diventi un benefit riservato solo a chi sta già un po’ meglio». Alcune esperienze, come quelle di Luxottica o Lamborghini, mostrano che si può fare, ma restano casi isolati.

Per questo motivo il sindacalista ritiene necessaria anche un’azione legislativa, affinché la riduzione oraria sia «un beneficio di cui tutti possano godere» e non un privilegio di pochi. La contrattazione di prossimità, ha aggiunto Cauzzo, può servire per agire nei contesti dove «gli unici in grado di dire cosa succede davvero sono lavoratori e aziende», ma da sola non basta a correggere un sistema in cui «il lavoro supplementare serve per mettere insieme il pranzo con la cena».

Un Paese che deve scegliere: industria o marginalità

Maran ha affrontato il tema della produttività, spiegando che «non dipende da quanto lavori» ma da innovazione, dimensione aziendale e struttura industriale. Ha definito «molto preoccupante» la deriva di un Paese che rischia di vivere solo di servizi a basso valore aggiunto: «Pensare di stare in piedi senza un’industria che funziona è davvero fuori dal mondo». La provincia di Varese, un tempo «terza Camera di Commercio d’Italia», vive ora uno squilibrio territoriale marcato, con un tessuto produttivo che «fa molta fatica» nelle aree più periferiche.

Dal tono politico più esplicito che chiosa di Cauzzo che ha invitato a superare la logica delle «misure emergenziali e spot» e ha ricordato l’importanza del Pnrr, definito «una droga collettiva» grazie alla quale si è sostenuto ricerca e sviluppo, che ora rischia di interrompersi bruscamente. «Dobbiamo arrivare pronti, con qualcosa di più ampio respiro», ha concluso, indicando la necessità per il centrosinistra di costruire una proposta industriale organica, capace di affrontare simultaneamente salari, qualità del lavoro e sviluppo tecnologico.

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Pubblicato il 27 Novembre 2025
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