Il richiamo alla pace e ai valori della Repubblica nel discorso del Presidente Sergio Mattarella
"La pace è un modo di pensare: quello di vivere insieme agli altri, rispettandoli, senza pretendere di imporre loro la propria volontà, i propri interessi, il proprio dominio"
Un appello alla pace, alla responsabilità civile e alla memoria della storia repubblicana: è questo il cuore del messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica, che ha parlato agli italiani in un momento segnato da conflitti, incertezze internazionali e profonde trasformazioni sociali.
«Si chiude un anno non facile», ha esordito il Capo dello Stato, ricordando come il primo e più urgente desiderio resti quello della pace. Davanti alle guerre che devastano l’Ucraina e Gaza, Mattarella ha sottolineato come diventi «sempre più incomprensibile e ripugnante il rifiuto di chi la nega perché si sente più forte». La pace, ha spiegato, non è soltanto un obiettivo politico, ma «un modo di pensare», fondato sul rispetto reciproco e sul rifiuto della prepotenza.
Nel suo discorso, il Presidente ha richiamato l’invito di Papa Leone XIV a «respingere l’odio, la violenza, la contrapposizione» e a «disarmare le parole», ammonendo che il linguaggio aggressivo e lo scontro verbale continuo non costruiscono una mentalità di pace. Da qui l’esortazione a non cedere al fatalismo: «Di fronte all’interrogativo “cosa posso fare io?” dobbiamo rimuovere il senso di impotenza».
Uno dei passaggi centrali è stato dedicato agli ottant’anni della Repubblica, che ricorreranno nel 2026. Mattarella ha ripercorso idealmente la storia del Paese come un “album di famiglia”: dal voto delle donne, primo segno dell’unità popolare, al lavoro dell’Assemblea costituente, capace di trovare una sintesi alta pur nelle forti contrapposizioni politiche. «La Costituzione italiana ha ispirato e guidato il Paese per tutti questi decenni», ha ricordato.
Non sono mancati i riferimenti alle grandi conquiste sociali: il lavoro come fondamento dello sviluppo, lo Statuto dei lavoratori, il Servizio sanitario nazionale, il sistema previdenziale, la cultura e il ruolo del servizio pubblico. Accanto alle pagine luminose, il Presidente ha evocato anche quelle più buie: il terrorismo, le stragi, la mafia. I nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati ricordati come simboli di una legalità che continua a parlare alle nuove generazioni.
Guardando al presente e al futuro, Mattarella ha riconosciuto le “crepe” che attraversano la società italiana – povertà, diseguaglianze, corruzione, reati ambientali – avvertendo che la coesione sociale «non è mai acquisita definitivamente». Da qui il richiamo più forte: «Perché la Repubblica siamo noi. Ciascuno di noi».
Il messaggio si è concluso con un pensiero rivolto ai giovani, invitati a non rassegnarsi a chi li descrive come distaccati o sfiduciati: «Siate esigenti, coraggiosi. Scegliete il vostro futuro». Un invito a sentirsi protagonisti, come la generazione che ottant’anni fa costruì l’Italia democratica.
Con queste parole, il Presidente ha salutato il Paese augurando a tutti: «Buon 2026».
Il testo integrale del discorso del Presidente Sergio Mattarella
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