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Storia di Angela Betti, staffetta partigiana morta nell’ultimo giorno di guerra

Operaia in un calzaturificio, si arruolò volontaria all'inizio del 1944, fu centrata da un colpo vagante. La sua storia ricompare nei documenti e nelle foto affidate dalla nipote Renata Lavelli

Angela Betti, storia di una staffetta partigiana

Quanto ci vuole perché la memoria di una persona svanisca? Quanto ci vuole perché diventi solo un nome sulla pietra di un monumento?

A volte diventa solo la memoria di un’unica persona, la depositaria di un’esistenza.
Il nome di Angela Betti oggi sarebbe solo undici lettere nere ridipinte di fresco, non fosse per le parole della nipote Renata Lavelli, che in un cassetto ha tenuto per decenni i documenti di questa donna dallo sguardo fiero e dal sorriso largo e generoso.

«Angela Betti era mia zia, viveva a Busto Arsizio», ci ha spiegato Renata, di fronte a una tazza di caffè, mentre il sole tiepido di novembre illuminava il salotto di casa sua, nel quartiere di Sciaré, rione operaio dietro la stazione di Gallarate. «Sa, mio padre andava al lavoro in bicicletta, qui a fianco, a Cedrate».
Sul tavolo c’è una cartellina di cartone e un pesante album con copertina in pelle: sono la testimonianza fisica della storia di Angela Betti, partigiana.

«Aveva iniziato a fare la staffetta nel 1944. Ed è morta il 1° maggio, quando la guerra era ormai finita».
La data simbolica della fine della guerra, che tutti conoscono, è il 25 aprile, ma in realtà è la data dell’insurrezione, quando gli scioperi bloccarono i trasporti, le brigate partigiane sbarrarono la via ai tedeschi in ritirata, attaccarono i fortilizi dei fascisti di Salò, mentre Mussolini preparava la fuga in Svizzera.

Le battaglie continuarono poi per una settimana. Prima furibonde nel centro delle città e sulle vie di comunicazione, con diversi eccidi compiuti dalle truppe naziste e tedesche; poi come scontro isolati, verso i reparti che non volevano cedere le armi e i “franchi tiratori” che sparavano sui partigiani e i primi soldati alleati che avanzavano.
Al 2 di maggio la Germania firmò la resa separata in Italia, una settimana prima della resa totale della Germania, dopo la morte di Hitler nel bunker di Berlino.

La memoria di famiglia Lavelli-Betti ha trasmesso come data canonica della morte di Angela Betti il 1° maggio, la festa dei lavoratori, il primo giorno del primo mese di libertà. «Busto era già libera. Purtroppo la uccise l’incauta manovra di un partigiano, che posò a terra il fucile armato: partì un colpo e lei rimase uccisa» ci ha raccontato Renata Lavelli.

Tra Busto Arsizio e Malpensa furono disarmati centinaia di soldati tedeschi e repubblichini, recuperate anche molte armi pesanti, comprese quelle che i nazisti avevano usato per bombardare Inveruno, nella loro marcia per ricongiungersi alle altre forze in ritirata (va ricordato che nessuno sapeva che la guerra sarebbe finita: il piano tedesco era di ritirarsi verso Nord e Nord-Est).

Fu in quelle ore che Angela Betti – operaia in un calzaturificio – trovò il suo destino.
Un documento del 7 novembre 1945 – conservato da Renata Lavelli – riporta la sua scheda personale, con la dinamica: «Mentre alcuni partigiani caricavano le armi, inavvertitamente partì un colpo di mitra, ferendola mortalmente».

La storia di una staffetta partigiana nell’Alto Milanese

«Lei aveva iniziato a collaborare con i partigiani nell’inverno prima, aveva alle spalle un anno con loro» ci ha raccontato ancora la nipote Renata Lavelli. «Il suo comandante era Leandro. Leandro Albè, il comandante della Brigata Garibaldina». Per la precisione la 102ma Brigata Garibaldi Sap, sigla che stava per Squadre di Azione Patriottica, formate per inquadrare da operai e altri civili che agivano clandestinamente, per lo più sui luoghi di lavoro, per recuperare armi, attuare colpi di mano, tenendosi pronti per l’insurrezione finale, quella che appunto arrivò al 25 aprile. 

Nel territorio dell’Alto Milanese, per la sua particolarità di zona molto industrializzata e urbanizzata, le Sap finirono a comprendere anche i partigiani “dei boschi”, che con difficoltà lottavano nelle poche aree boschive intorno alle città: a Busto operava la 102ma, a Gallarate la 181ma aveva invece raccolto l’eredità della precedente 127ma. Insieme alle brigate di Legnano e Rho facevano parte della Divisione Valle Olona, comandata da Gaetano Bottini, “Mauri”.

brigate garibaldi busto arsizio
Lo schieramento delle Brigate Garibaldi intorno a Gallarate e Busto Arsizio. A ridosso del Ticino operava la I Brigata Lombarda, reparto con larga autonomia che si muoveva tra Novarese e Alto Milanese

La scheda di Angela Betti racconta che entrò nella formazione garibaldina a gennaio 1944, quando aveva 41 anni. Come per quasi tutte le donne, si trattò di una libera scelta in tutto e per tutto: a differenza degli uomini, non erano infatti costrette alla leva fascista, ma volontariamente scelsero di esporsi al rischi.

Facendo base nella sua abitazione in via Lualdi, in centro a Busto Arsizio, Betti fu impiegata come staffetta del comando e propagandista, si occupò di “trasporto di armi” e “getto di manifestini”, nella formazione guidata dal comunista Andrea Macchi e poi dal già citato Leandro Alberto.

Angela Betti, storia di una staffetta partigiana

Negli undici mesi in cui Betti rimase con la brigata, i partigiani della 102ma riuscirono a disarmare diversi militi fascisti e soldati tedeschi; attaccarono più volte il campo d’aviazione di Lonate Pozzolo, danneggiando i caccia e in un caso incendiando completamente un bombardiere S.79. Ma prepararono anche l’insurrezione, con comizi “volanti” nelle fabbriche nell’inizio primavera, poche settimane prima dell’insurrezione.

Il 25 aprile 1945, l’insurrezione

Al 25 aprile la brigata attaccò i magazzini di Fagnano Olona, la polveriera di Solbiate, il presidio di Olgiate Olona. Al Buon Gesù fu attaccato una colonna tedesca scortata da autoblindo.

Quando poi tutto sembrava finito, per Angela Betti arrivò il colpo mortale, non in combattimento, ma in modo fortuito. Come accade in qualsiasi guerra, per errore. Senza contare gli episodi di “fuoco amico”, compresi – in quei giorni – isolati attacchi dei cacciabombardieri americani e inglesi che solcavano i cieli, mentre a terra si muovevano colonne tedesche, fasciste e partigiane, e finirono a colpire (come nella vicina Arona) veicoli partigiani.

Sfogliando i documenti insieme ci imbattiamo anche nella data che venne invece verbalizzata: il 30 aprile 1945. Che significa due giorni dopo che a Busto erano terminati gli scontri maggiori: il 28 aprile, nei dintorni del cimitero, i partigiani cattolici e monarchici della Alfredo Di Dio, avevano fermato una colonna della Luftwaffe che minacciava l’ingresso. Spalleggiati dai garibaldini locali e da quelli di Moscatelli arrivati da Valsesia e Ossola, i “fazzoletti azzurri” avevano infine ottenuto la resa della colonna tedesca, che si era lasciata dietro una scia di lutti nei paesi del Castanese. I garibaldini avevano nel frattempo ottenuto la resa dei reparti presenti alla Malpensa. Il comandante Gaetano Bottini “Mauri” era stato ucciso a Samarate, dove gli ultimi reparti fascisti si erano asserragliati nella Villa Montevecchio.

Generico 2018

Un momento della trattativa tra partigiani e tedeschi, da museopartigiano.it

I partigiani e le staffette in uniforme al funerale

I funerali di Angela Betti si tennero pochi giorni dopo, in una Busto appena liberata. Nel salotto di casa sua la nipote Renata Lavelli ci ha mostrato l’album fotografico conservatosi fino ad oggi: nel corteo i cittadini, le suore, i garibaldini in armi e in divisa, le donne – le staffette – anche loro in uniforme con gonna scura e camicia chiara con il distintivo a “triangolo” dei gradi garibaldini.

Angela Betti, storia di una staffetta partigiana

Alle finestre sventolano i tricolore (ancora sabaudi). Sullo sfondo delle diverse immagini si vedono i binari del tram e cittadini in bicicletta, alcuni guardano di lontano il corteo funebre già passato.
È finita la guerra, rimarrà la memoria ma ora i lutti lasciano il posto alla ricostruzione, alla lotta politica, alla costruzione della nuova Repubblica.

Angela Betti, storia di una staffetta partigiana

La custodia della memoria

Il nome di Angela Betti figura sul monumento gallaratese dei partigiani caduti, essendo il resto della sua famiglia a Gallarate: le undici lettere del suo nome sono state restaurate pochi anni fa, insieme ai nomi di altri quindici partigiani e delle due vittime dell’odio razziale antisemita.

Ma la sua storia è custodita dai ricordi di famiglia e dai documenti: «La storia di mia zia mi è sempre stata a cuore e oggi voglio affidarla ad altri perché sopravviva» ci ha raccontato la signora Lavelli, in quel colloquio un mese prima di morire, nei primi giorni di dicembre 2025, ottant’anni e pochi mesi dopo Angela.

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Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 21 Dicembre 2025
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