Difendere i propri dati nell’era digitale: «Il vero pericolo è dimenticare dove finiscono le nostre informazioni»
Tra intelligenza artificiale, cloud e truffe online, lo Swiss Innovative Arts and Technologies Institute fa chiarezza: serve consapevolezza per difendere la propria identità digitale
Viviamo in un mondo dove ogni click, ogni app, ogni acquisto lascia una traccia. E spesso non ci chiediamo dove finiscono questi dati, chi li conserva e per quali scopi vengono usati. A parlarne nella nuova puntata di La materia del giorno, la rubrica realizzata da VareseNews, sono stati Claudio Cesare Secchi, Marco Bellini e Aldo Trentini dello Swiss Innovative Arts and Technologies Institute (Siati), con sede in Svizzera, ma con solide radici anche nel Varesotto.
Dati, sovranità e consapevolezza
«Noi ci occupiamo di ricerca tecnologica da oltre trent’anni, fin dai tempi in cui Internet era agli inizi – spiega il presidente del Siati Secchi –. La sicurezza dei dati è sempre stata centrale, ma solo dopo il 2020, complice la pandemia e poi il conflitto in Ucraina, c’è stata una vera presa di coscienza da parte di istituzioni e cittadini».
Una consapevolezza che però resta ancora frammentaria. Quando si parla di cybersicurezza si pensa subito alle divisioni di specialisti che per conto di grandi aziende o istituzioni lavorano per difendere dati sensibili o progetti riservati, ma in verità ognuno di noi è esposto. «Il punto debole? Sempre il fattore umano».
Il cloud e la falsa sicurezza
Marco Bellini, docente e formatore, descrive il cloud con un’immagine tanto efficace quanto inquietante: «Il cloud non è altro che i miei dati sul computer di qualcun altro in un posto che non so dov’è». La comodità, sottolinea, ha un prezzo: quello della sovranità dei propri dati. «Ci siamo abituati a servizi gratuiti che vivono dei nostri comportamenti online: accettiamo termini e condizioni senza leggerli, e così facendo cediamo la nostra identità digitale».
E anche i dispositivi più sicuri diventano inutili se le abitudini non sono corrette. Bellini racconta l’aneddoto di un cliente che aveva messo la password del sistema di videosorveglianza nel cassetto accanto al monitor: «Una babysitter malintenzionata avrebbe potuto accedere senza alcuno sforzo. Il problema non è il dispositivo, ma l’uso che ne facciamo».
Truffe, phishing e identità digitali rubate
Aldo Trentini porta l’attenzione sulle conseguenze più concrete: truffe, phishing, furti d’identità. «Con i dati raccolti online si costruiscono dei gemelli digitali credibili, che possono essere usati per truffare le persone, soprattutto le più fragili». Trentini cita i casi (purtroppo diventati dei classici) degli anziani che ricevono telefonate da finti nipoti in difficoltà, con voci ricreate grazie all’intelligenza artificiale.
Perdere il controllo dei propri dati digitali, può quindi portare conseguenze reali anche gravi. E anche chi è convinto di “non avere niente da nascondere”, in realtà può incorrere in situazioni rischiose.
La sovranità digitale e il ruolo del territorio
Un tema centrale è quello della sovranità digitale: «I dati che mettiamo su grandi piattaforme americane – spiega Secchi – rientrano automaticamente sotto il Cloud Act statunitense. Vuol dire che le autorità di quel Paese possono accedere a queste informazioni». La soluzione? Preferire provider locali, magari presenti sul territorio: «Nel Varesotto ci sono aziende in grado di offrire cloud privati, dove i dati restano sotto controllo e si sa esattamente dove sono conservati».
I dati non sono persi, ma vanno difesi
Recuperare il controllo dei propri dati è possibile, ma serve attenzione. «Oggi con poche centinaia di euro si può avere uno storage personale – conclude Bellini –. Non serve essere esperti, basta un po’ di informazione e di organizzazione. La sicurezza inizia dalla formazione».
Un messaggio chiaro: in un mondo sempre più connesso, proteggere la propria identità digitale è una responsabilità individuale a cui non ci si può sottrarre.
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