Dieci anni fa la “opzione zero” che riduceva il cemento a Gallarate. E ora anche il Consiglio di Stato dà ragione
A cavallo tra 2014 e 2015 l'amministrazione di centrosinistra guidata da Edoardo Guenzani approvò la Variante che cancellava l'edificazione delle aree al confine con Busto. Dieci anni dopo una nuova sentenza conferma la legittimità. "Era una scelta per il bene di tutti"
Dieci anni fa, a cavallo tra 2014 e 2015, il consiglio comunale di Gallarate prese una decisione difficile e controversa: “cancellò” la previsione di edificazione sulla zona Sud della città, sulla cosiddetta “area 336”, i boschi che dividono Gallarate da Busto Arsizio. L’amministrazione cancellò le previsioni di sviluppo, attuando la “opzione zero” per mantenere agricole le aree.
E a distanza di dieci anni, arriva una conferma: il Consiglio di Stato ha infatti confermato la legittimità della scelta amministrativa, respingendo il ricorso di Immobiliare Futura (uno dei grandi proprietari dell’area) che contestava appunto la programmazione urbanistica.
La società immobiliare, proprietaria di 150mila metri quadri in zona, aveva annunciato quasi subito la decisione di chiedere i danni agli allora amministratori di centrosinistra e in seguito aveva fatto ricorso al Tar. Il tribunale amministrativo della Lombardia aveva decretato la validità delle scelte politiche di programmazione urbanistica e oggi il secondo grado di giudizio – il Consiglio di Stato – conferma la decisione, respingendo il ricorso di Immobiliare Futura.
«Quella fu una scelta fatta guardando al bene di tutta la città e non dell’interesse economico più forte», rivendica oggi Giovanni Pignataro, allora vicesindaco e assessore all’urbanistica, che visse una stagione complessa. L’area lungo la superstrada di Malpensa era infatti divisa tra grandi proprietari – Impregilo, Immobiliare Futura del gruppo Coop e Edilmalpensa – che avevano contestato la scelta, c’erano state pressioni perché si evitasse la cancellazione della previsione urbanistica che aveva individuato quelle aree come edificabili.
Pignataro ricorda la decisione portata avanti dall’amministrazione di centrosinistra guidata da Edoardo Guenzani: «In quella fase ci rendevamo conto che, con la previsione del collegamento al Terminal 2 e la bretella della Pedemontana (oggi in costruzione, ndr) il territorio intorno a Gallarate avrebbe subito un ulteriore colpo dal punto di vista del consumo di suolo. E questo esigeva scelte che non furono facili, per noi, ma che furono espressione di una politica di bene comune, ne sono convinto. Una scelta fatta guardando al bene di tutta la città e non all’interesse economico più forte. Credo sia stato un percorso virtuoso».
Le motivazioni della sentenza del Consiglio di Stato
La sentenza di oggi, dice Pignataro, «ribadisce che dare una destinazione agricola non significa espropriare» e che «agricolo può significare anche mantenere una zona “cuscinetto” tra due città», al di là dell’effettiva possibilità di garantire un’attività agricola in senso stretto.
Lo si legge nella sentenza del Consiglio di Stato, che ha appunto respinto il ricorso nelle sue diverse parti e che in particolare considera la scelta amministrativa fatta a Gallarate allineata al principio che la discrezionalità di un Comune nella programmazione “può essere compressa soltanto laddove sussistano preesistenti rapporti giuridicamente impegnativi, quali piani di lottizzazione o piani attuativi”, che qui invece non esistevano. Esisteva una previsione di edificazione che il Comune poteva – legittimamente, appunto – modificare.
Sempre rifacendosi a precedenti sentenze amministrative, il Consiglio di Stato conferma anche che la previsione agricola può essere portata avanti “per l’esigenza di assicurare un ordinato governo del territorio, impedendo un’ulteriore edificazione o un congestionamento della zona e mantenendo un rapporto equilibrato tra parti libere e parti edificate o industriali dello spazio urbano”. E nel caso specifico il mantenimento a verde serviva (e serve a tutt’oggi) a evitare, “con il consolidamento di una cintura a verde periurbana, gli effetti di conurbazione tra gli abitati di Gallarate e Busto Arsizio”, la saldatura tra due città in un’unica città senza confini e senza “cuscinetti” verdi.
Persino la previsione del contestato ospedale unico (su cui peraltro il centrosinistra gallaratese è contrario) in questo senso non nega, ma ribadisce la preoccupazione di non incidere su quel corridoio di verde che separa Buso da Gallarate, nella misura in cui si è insistito per la scelta di un “ospedale verde” che minimizzi l’impatto, al di là della scelta di collocazione fatta da Regione Lombardia e dalle due amministrazioni.
“Senza quella scelta oggi si potrebbe costruire centinaia di migliaia di metri cubi”
La scelta di modificare la pianificazione scatenò feroci polemiche.
Pignataro si leva – come si dice – anche un sassolino dalle scarpe: «Ricordo chi allora in consiglio comunale diceva che avrebbe pagato la città, avrebbero pagato i cittadini. Non è così, le scelte erano legittime» (anche la Lega di allora era favorevole alla riduzione della «cementificazione» anche se i consiglieri non parteciparono al voto).
Pignataro guarda anche all’attualità: «Oggi possiamo invece dire che questa sentenza potrebbe illuminare chi oggi dice che non sia utile pianificare la crescita della città: se nel 2014-2015 non avessimo fatto quella scelta, oggi si potrebbe costruire centinaia di migliaia di metri cubi di nuovi edifici». Se dieci anni fa il contenimento del consumo di suolo era ancora una prospettiva in parte vaga, oggi l’impatto dei cambiamenti climatici e i rischi legati all’eccessiva erosione delle aree verdi e traspiranti è diventata una necessità che viene riconosciuta da tutti e peraltro proprio in quella zona è addirittura prevista una “rinaturalizzazione”, a compensare gli abbattimenti del bosco per la nuova ferrovia per Malpensa.

Infine Pignataro ricorda che fu una scelta collettiva dell’amministrazione, ma anche sostenuta dal punto di vista tecnico dall’ente comunale: «Un riconoscimento merito della politica di allora ma anche della correttezza dei funzionari comunali, tra cui gli architetti Marta Cundari e Massimo Sandoni, che si mossero con grande perizia e professionalità». Forte della correttezza anche formale, l’ente Comune ha sostenuto la scelta di programmazione fino a questo nuovo pronunciamento (tecnicamente resistendo al ricorso di Immobiliare Futura).
«Credo – conclude l’ex assessore all’urbanistica – che oggi sorriderebbe anche l’ingegner Guenzani (il sindaco scomparso nell’estate 2023, ndr): per lui era una partita complicata, che chiamava in causa le scelte che aveva fatto durante la precedente stagione politica», quando da assessore all’urbanistica, negli anni Ottanta, tracciò la prima previsione di edificazione della zona. Una scelta figlia di quella stagione, che Guenzani però ebbe la capacità di rivedere criticamente: «Una volta che la maggioranza prese la decisione, la sposò in pieno».
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