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Perché pregare? Lo spiegano i “tutorial” di don Alberto

Il giovane sacerdote di Busto Arsizio è autore di molti video di successo su Youtube. "La preghiera ci mette in contatto con la nostra identità più profonda"

In molti in queste settimane di clausura dovute all’emergenza sanitaria per il coronavirus si sono ritrovati a pregare per i propri cari e per se stessi. Magari con preghiere personalizzate e fuori ordinanza senza farsi troppe domande su che cosa vuol dire pregare e qual è il loro significato più profondo. Domande che abbiamo posto a don Alberto Ravagnani della parrocchia di San Michele a Busto Arsizio, sacerdote “Youtuber” autore di alcuni video molto popolari.

Don Alberto, perché è così importante pregare?
«Pregare è indispensabile perché ci mette in contatto con la nostra identità più profonda e ci porta nella giusta prospettiva per guardare alla vita riscoprendo la verità come figli e fratelli sotto lo sguardo di Dio. In un mondo dove tutti sono proiettati verso l’esterno e immersi nella virtualità, la preghiera e la spiritualità ci riportano in contatto su ciò che siamo veramente e sono la condizione per rimetterci in sintonia non con un Dio astratto ma con un Dio che si è fatto uomo: Gesù».

In una fase così drammatica la preghiera può aiutare le persone che non hanno potuto dare l’addio ai loro cari morti di coronavirus e assisterli nel momento della malattia?
«Accettare il dolore non è facile. La fede può essere una consolazione nel senso letterale del termine perché ci porta la compagnia di Gesù Cristo che è morto in croce e in maniera atroce e una volta morto è stato portato al santo sepolcro. Ebbene, il Vangelo ci racconta tutto il travaglio vissuto dai discepoli in quel momento, ma poi Gesù è risorto. Ecco che la fede ci porta la speranza: dopo la morte c’è la resurrezione. La morte è un passaggio terribile, me ne rendo conto, ma è un grande  mistero che ci riaccompagna ad una vita più piena».

don alberto ravagnani

Ci sono anche altre religioni e confessioni che in questo periodo raccomandano di pregare. Sulla sponda piemontese del Lago Maggiore c’è una comunità di monaci tibetani che organizza preghiere a distanza?
«La preghiera è da ricollegare sempre alla cultura e come tale l’altro è sempre fonte di ricchezza. A maggior ragione per noi che abbiamo perso alcune tradizioni legate alla preghiera come l’importanza del silenzio, dell’introspezione, del raccoglimento. La preghiera è un momento serio della vita, andrebbe preso sul serio. Mentre noi a volte andiamo alla sostanza e ci perdiamo sulle modalità della relazione con Dio. Oggi molti si avvicinano ad altre religioni perché rimangono affascinati dal rigore della preghiera. Noi forse ci siamo persi dei pezzi».

Questa è secondo lei l’occasione per riavvicinare le persone alla preghiera e alla Chiesa? E quanto sono importanti le famiglie in questo riavvicinamento?
«Beh questo avvicinamento è auspicabile perché se le persone si riavvicinano a Dio la Chiesa può farsi riscoprire agli occhi del mondo, per parlare di Dio, testimoniarlo e renderlo presente. Se un tempo in linea di massima la fede nasceva in famiglia oggi non accade quasi più. C’è una scarsa partecipazione alle messe, mentre la fede si alimenta in comunità e in parrocchia. Questa può essere la volta buona per capire che custodire e curare il corpo serve perché a sua volta contiene il bene più prezioso: la ricchezza spirituale».

Per un giovane prete di 26 anni la fede e la preghiera sono state una folgorazione o un percorso maturato negli anni?
«Per me non è stata una folgorazione, ma un percorso. Da piccolo volevo fare il gelataio e poi il giornalista, ma dal momento in cui ho incontrato Dio e ho scoperto chi era Dio non ho potuto fare a meno di dargli tutto».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it
Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.
Pubblicato il 02 Aprile 2020
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