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Angelo Croci: “L’epidemia ha una forza creativa in sé, una sua fecondità”

Riportiamo ampi stralci di una lunga conversazione audio tra Gianluca Minella  del Centro cultrale Junghiano, TEMENOS e Angelo Croci

Riportiamo ampi stralci di una lunga conversazione audio tra Gianluca Minella  del Centro cultrale Junghiano, TEMENOS e Angelo Croci. Consigliamo di ascoltare la versione integrale.

Angelo Croci

Angelo Croci, come lo descrive l’intervistatore, “è sempre stato una voce fuori dal coro, nel senso più nobile del termine. È filosofo e teologo e la sua grande passione è sempre stata l’esperienza creativa, l’arte in tutte le sue forme e dimensioni. Si è occupato di critica d’arte e soprattutto cinematografica ma è anche un grande studioso di psicologia e conosce molto bene il pensiero e la prassi psicoanalitica con una particolare passione per il punto di vita junghiano.

Nella sua vita l’impegno più importante è stato rivolto al volontariato, alla cura e all’attenzione della fragilità e della vulnerabilità umana, al disabile, al portatore di handicap, alla sofferenza fisica e psichica, all’universo del disagio infantile nei suoi aspetti evolutivi e cognitivi come nelle forme più misteriose e imperscrutabili del ritiro autistico. È stato una guida spirituale per molte generazioni di giovani sul territorio della provincia di Varese che lo hanno eletto punto di riferimento. Vive e lavora nel suo studio privato a Vengono Superiore in provincia di Varese.

IL NOSTRO TEMPO

Viviamo una condizione di estrema fragilità, una stagione che ormai dura da moltissimo tempo, che io definisco di antropologia provvisoria. In realtà abitiamo l’intervallo che sta tra una civiltà moderna e una civiltà che ancora deve venire.

Cosa vuol dire abitare un’antropologia provvisoria? Vuol dire essere in una condizione di ancor maggior fragilità rispetto alla fragilità esistenziale che ci riguarda tutti. Questa epidemia rileva proprio questo. Sottolinea quanto siamo fragili, certo sottolinea anche l’illusione tecnologica neo-illuminista nella quale molti di noi si sono riparati.

Noi viviamo sull’orlo dell’abisso, siamo Blade Runner cioè corriamo sul filo della lana. Questa è la nostra condizione e questo evento semmai diventa una specie di memento che potrebbe anche riportarci in una visione diciamo positiva o se vuoi ottimistica; potrebbe anche riportarci ad una maggiore consapevolezza della nostra condizione.

Fatto salvo che, proprio da questa consapevolezza, nasce poi l’elemento creativo.

Angelo Croci

FINO A QUANDO DURERA’ L’EPIDEMIA?

“Fino a quando durerà?”, una domanda come un’invocazione biblica. Cosa accadrà dopo? C’è il partito di coloro che dicono “Niente sarà più come prima”. Su un palazzo di Santiago del Cile è apparsa una scritta: “Non vogliamo tornare alla normalità, perché la normalità è il problema”. Trovo che questa espressione sia veramente forte. Allora cosa vuol dire “Niente sarà più come prima?” che precipiteremmo in una specie di età post-apocalittica, barbarica, o che invece veramente useremo questa esperienza di dolore, di sofferenza come RIcreazione, come possibilità di una nuova creazione. L’enigma si muove dentro questo interrogativo. Cosa ne sapremo fare?

Poi c’è chi sostiene “No! tutto tornerà com’era prima”. É come dopo una malattia importante che coglie una persona. Io sono solito dire che uno ne esce santificato e nove ne escono invece più individualisti, più cinici, più bari della vita. Questo evento che ci è catapultato addosso ci porta a un esistenza autentica, e non c’è esistenza autentica senza una consapevolezza della propria provvisorietà. Se c’è questa consapevolezza, c’è la possibilità di ricreare il mondo.

LA NOSTRA CIVILTA’

La nostra civiltà era una civiltà fragile, giocata proprio sulla distrazione dalla coscienza, dalla fragilità, dalla provvisorietà, dalla morte. La morte contiene una sua fecondità e noi non dobbiamo dimenticare questo concetto che è così profondo.

Pensiamo alla peste del 1348 che ha eliminato il 45% della popolazione mondiale e abbiamo delle testimonianze di studiosi arabi che sono terrificanti. Allora la morte era domestica, e da questa consapevolezza nasce il rinascimento, il barocco e non ci sarebbe l’umanesimo senza la peste nel 1348.

Si è parlato anche molto dicendo che questa pandemia è il frutto della distruzione che abbiamo fatto della natura… verissimo, ma è l’esito di non essere cooperatori della creazione. Questo momento di solitudine, non mi piace chiamarlo distanziamento sociale, perché il distanziamento sociale c’era prima, nel momento in cui dimenticavamo i morti in Siria, la povertà che abbiamo accanto. Questo cos’era? Non era forse un distanziamento sociale? Diciamo che adesso la pandemia ci costringe alla solitudine, cioè ci costringe, in fondo, alla verità di noi stessi.

Angelo Croci

LA QUARANTENA E L’ISOLAMENTO

Questo isolamento cosa sta togliendo? Sta togliendo la gestualità degli affetti, che è importantissima, sta mortificando il linguaggio del corpo che in questo momento è veramente silente, perché se i corpi non si toccano, non comunicano.

In realtà, almeno a chi viveva la vita banale, sta togliendo la distrazione, la possibilità di distrarsi da se stessi, di allontanarsi da se stessi, dentro la quale c’era il regno delle illusioni, dell’oblio, della perdita della memoria. In fondo stanno soffrendo molto il fatto di non aver più distrazioni, e infatti recuperano distrazioni tradizionali al di là dei social, la televisione, il bisogno di racconto, di storie che è quello che accade sempre quando cala la notte, si accende un fuoco e si cominciano a raccontare storie.

Mi piace immaginare alla sera, questo brulicare di storie intorno a me. Forse questa solitudine o quest’isolamento non è sterile, se fa circolare di nuovo il racconto, la storia. É il tema del Decameron del Boccaccio, ci si salva la vita dalla peste del 1348, raccontando storie in un giardino d’amore come nelle Le mille e una notte che letteralmente salva la vita e illumina le tenebre. Questo è un momento in cui si testano le risorse di questa umanità fragile e noi possiamo testarle, pesarle, valutarle e se il brulichio immaginario che io sento quando cala sera delle storie che circolano non è solo una mia fantasia o un mio fantasma, allora vuol dire, che qualcosa sta nascendo ancora una volta e nasce ancora una volta dentro il dolore, dentro alla sofferenza.

Angelo Croci

I BAMBINI, GLI ADOLESCENTI

Il bambino sta soffrendo perché non è più in movimento. Se tu lo mortifichi nel suo agire, nel suo muoversi, evidentemente in qualche modo è mutilato, però, i disegni che io ho visto, sono tutti ottimistici, sono desideri ingordi di futuro e quindi sono dentro la storia. Tieni conto che questa pandemia ci ha regalato un’esperienza che in occidente non è molto frequente. Ci ha immessi in un tempo circolare. Noi abitavamo il tempo lineare, il tempo della velocità, la fretta. Noi non avevamo un’esperienza del tempo perché eravamo abitati dal tempo, ma non eravamo coloro che abitano il tempo. Questa circolarità nella quale questa pandemia ci ha inserito, in qualche modo, per noi è un’esperienza inedita e sperimentiamo il tempo circolare che è come dire di entrare in un fiorito mandala.

Il bambino, pur soffrendo, della forza del movimento, del carattere incontenibile, della sua gestualità, della sua cinetica. Nel momento in cui disegna, disegna già un tempo nuovo e sono disegni pieni di colori. I disegni dei bambini prima che la diga del Vajont crollasse, erano disegni neri, cupi dentro il quale c’era il fantasma della tragedia. I disegni dei bambini in questo momento sono diversi, sono disegni colorati eppure il tempo è nero. Stiamo vivendo un tempo nero, molti adulti lo vivono tragicamente, il bambino, invece, colora.

Diversa è la condizione dell’adolescente, perché gli adolescenti oggi sono puntualisti, come la pittura di Seurat, l’adolescente oggi vive il punto, non vive la giornata, vive solo il punto ed è disorientato in questo momento, perché li viene sottratto: l’azione immediata, l’incontro con gli amici. Adesso gli è venuto meno e non ha un’altra esperienza nel tempo e quindi, nei ragazzi, c’è un maggior disorientamento, quasi una passività che non somiglia a loro. C’è più disagio nel mondo adolescenziale che nel mondo infantile. Il bambino in questo momento sta facendo più futuro di quanto futuro facciano i giovani che invece per predestinazione, dovrebbero essere i primi a fare il futuro.

Anche qua c’è una minoranza di adolescenti con una grande vitalità, siamo noi che non gli offriamo gli spazi e i tempi per realizzare questa vitalità e adesso è difficile immaginare in questa situazione che possiamo offriglieli. Siamo noi che ci siamo dimenticati.

Loro stessi rispondono escludendo il mondo adulto. A me una ragazza diceva: ”Per me dopo i 18 anni non esiste nessuno”, escludeva il mondo adulto proprio come reazione a una specie di impedimento. Loro sono dentro un potenziale che è incredibile e sono coloro che dovrebbero più di altri fare futuro.

Angelo Croci

LE PERSONE COME VIVONO LA DIMENSIONE INTERIORE

Nelle prime settimane della pandemia, le persone che io sentivo, erano persone che manifestavano condizioni di ansia, nei casi estremi, addirittura di panico, di disorientamento, di stati confusivi. Adesso, che sono passati un paio di mesi, emerge di più il versante depressivo e le persone che sento sono più abbandoniche, hanno quasi bisogno più che della tua parola, di un abbraccio perché sono disorientate, preoccupate.

Tieni conto che il gioco che stanno facendo i media, che devono rispondere ovviamente a delle esigenze informative, però, non privi di spettacolarità, perché in questi anni è accaduto questo, il mondo dell’informazione, per non essere disertato, si è spettacolarizzato e quindi tutte le informazioni che vengono date rispetto a questa pandemia sono dentro un apparato spettacolare che spesso è terroristico, perché lo spettacolo, deve fare risultato e questo sta nuocendo molto. Secondo me sarebbe un discorso importante da fare sui media e sul contenimento della notizia senza tradire mai la verità che forse, invece, viene tradita visto che ormai tutti denunciano che il numero dei morti è parziale, il numero dei contagiati non corrisponde alla realtà, fino al punto dei complottisti che immaginano complotti dentro il loro delirio paranoico.

Susan Sontag, dopo l’11 settembre, ha scritto sul New York Times, se ricordo bene, una cosa molto bella che dice: “Non si può raccontare un’esperienza, se non si è stati nel luogo, se non si è sul posto.” Questa volta noi possiamo raccontare tutti quello che ci sta accadendo perché siamo tutti sul posto. Poi, concludeva: “Piangiamo tutti insieme, cerchiamo però almeno di non essere stupidi tutti insieme.” la trovo una battuta molto bella. Piangere tutti insieme, ma non vorrei che si fosse anche tutti insieme stupidi o instupiditi.

bare bergamo

LA PERDITA, LA MORTE

In questo momento la perdita si rinnova di giorno in giorno, l’elaborazione del lutto deve proprio avvenire in questo momento. Io ho sempre detto che nessuno deve morire senza che qualcuno racconti la sua storia e io spero che veramente questi morti non vengano soltanto ricordati, attraverso riti commemorativi, una volta all’anno, come si fa per i terremotati, per i morti del terremoto, perché questo ritualismo è di copertura, non è un rito. Il rito nasce dal mito cioè nasce dal racconto.

Il nostro è il tempo dell’oblio comunque. E l’oblio è immorale perché la memoria in qualche modo è la fonte della moralità ed etica. Se non hai memoria non puoi avere un’etica. Importante quindi che questo evento, diventi storia, ma nel senso che diventi racconto e non si perda.

Io un’altra paura che ho è proprio sulla fragilità della nostra memoria. Anche se adesso l’evento sembra così macroscopico, o che tutti noi pensiamo che sarà indimenticabile, addirittura lo fissiamo come spartiacque, tra un mondo, è un altro mondo. Noi possiamo interiorizzare la persona che ci ha abbandonato che abbiamo abbandonato dentro la morte, solo se attualizziamo la memoria e non solo ricordo. Il ricordo è andare verso il passato, la memoria è il passato che torna nel presente. La nostalgia cos’è? É il presente che va a sfumare morire nel passato, la memoria invece il passato che si attualizza dentro il presente e che quindi fa futuro.

Questo è uno dei grandi compiti anche sul piano spirituale per ognuno di noi, culturale per chi costruisce futuro è il compito che ci permetterà di oltrepassare realmente questa pandemia e in qualche modo di cauterizzare anche paure future, perché adesso c’è anche un altro pericolo che tutto questo in qualche modo venga coperto dalla paura che possa accadere ancora, chi stava dentro l’illusione tecnologica.

Siamo a due mesi dalla pandemia, ma se sto ad ascoltare i vari esperti tecnici, magari sono ingenuo o forse allocco, ma ho capito che non hanno capito niente, non conosco quasi nulla di questo nemico. Sono passati due mesi, non lo si conosce quindi le conoscenze che hanno, non sanno bene i tempi di incubazione, la stessa tecnologia sta dimostrando la sua fragilità, lo si vede. Queste persone sono morte nella solitudine, è vero, il termine baratro, io direi abisso, ho bisogno di un termine più forte, più violento, per esprimere veramente la disperazione di chi muore capovolto, nemmeno con lo sguardo al cielo. Proprio una morte chiusa e ottusa, penso alla disperazione di chi ha immaginato poi, un parente.

Io ho una frase che mi ha accompagnato per tutta la mia vita, è stata lo slogan della nostra comunità ed era “Non fare per carità quello che devi fare per giustizia”, la carità è sovrabbondante, viene sopra riguarda l’intimità del singolo, non la si può riportare ad un’esperienza o ad un evento come questo.

Chi ha in mano questo dono, rileggerà questo evento, ma questo evento ha dentro una forza creativa in sé, come lo ha ogni morte, che ha una sua fecondità. La cosa vera è che ogni volta che la vita, la storia ci dice no, noi dobbiamo gridare un sì per riequilibrare la bilancia dell’essere, rimetterla po’ a posto, riconquistare l’armonia, ogni no deve essere seguito da un si. Solo così pareggiamo l’essere, manteniamo la forza dell’essere e quindi la forza della vita.

Pubblicato il 01 Maggio 2020
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