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Novembre 1951, l’Arno invade le strade del centro di Gallarate

Dopo settimane di pioggia ininterrotta, le acque del torrente Arno si riversarono nel borgo per due volte di fila, ci fu anche un morto. Un problema di "coabitazione" con le acque durato secoli e risolto solo negli anni Duemila

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Nella basilica di Gallarate un quadro, risalente al Settecento, ritrae San Cristoforo – patrono della città – con lo sfondo della piazza del borgo invasa dalle acque del torrente Arno, più noto con il nomignolo Arnetta.
Uno scenario non isolato, nei secoli, ma che per l’ultima volta si è presentato in maniera evidente e drammatica nel 1951, settant’anni fa.

L’Italia fu allora colpita da giorni e giorni ininterrotti di pioggia, che provocarono grandi disastri da Nord a Sud. Decine di morti si erano registrati a ottobre in Calabria e Sardegna. L’alluvione del Polesine a partire dalla sera del 14 novembre provocò cento morti e anche una massiccia ondata emigratoria di veneti dalla provincia di Rovigo. Ma anche a Tavernerio in provincia di Como si piansero sedici morti causati da una frana.

A confronto con questo, l’alluvione di Gallarate non fu che un inciampo: dopo 48 giorni di pioggia ininterrotti, il 12 novembre il torrente Arno, rotto l’argine nelle vicinanze dello stabilimento Maino (via monsignor Macchi), invase le vie del borgo, fino a creare un vasto “lago” in piazza Libertà.

Le acque dell’Arno da via Foscolo e via Ronchetti – con l’aggiunta di quelle del Sorgiorile, piccolo affluente di solito in secca – si riversavano da piazza Risorgimento verso la “conca” della piazza Libertà e da qui solo in parte defluivano verso via don Minzoni, riprendendo in qualche modo l’antico corso medievale che attraversava il borgo.

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Guardie municipali e ciclisti alle prese con il fiume d’acqua che entra verso la piazza da via Verdi. La strada di fronte è quella davanti al Teatro Condominio, oltre cui c’è piazza Garibaldi. Questa foto, come quella di apertura, sono prese dal libro di Victor Piceni “Vecchia Gallarate”

La pagina di martedì 14 novembre del quotidiano La Prealpina, in cui viene offerto un panorama generale della provincia e in cui si annuncia il maltempo sembrava attenuarsi, riporta anche l’annuncio di una vittima gallaratese, Vittorio Enrico Macchi, morto per attacco cardiaco dopo l’eccessivo sforzo profuso nel tentativo di liberare la propria casa allagata: “È deceduto in seguito ad un attacco cardiaco mentre si recava al Credito Italiano dove era occupato quale fattorino”.

Inoltre, a due giorni dall’esondazione, in molte strade mancava ancora l’elettricità e i telefoni delle case non funzionavano e risultava ancora interrotta la linea ferroviaria del Sempione a seguito della frana di Vergiate. Danni si contavano anche nei depositi delle aziende e in quello dei Monopoli di Stato.

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Via Pegoraro invasa dall’acqua che esce dal Sorgiorile in via Pegoraro all’altezza con via Andrea Costa (clicca qui per vedere il punto oggi). Sul muro – curiosità – si legge una scritta che inneggia al campione di ciclismo Gino Bartali

L’esondazione si ripetè poi anche una settimana dopo, il 19 novembre, mentre l’Italia era a quel punto  alle prese con l’emergenza nazionale del Polesine (dove il Po aveva rotto l’argine nella sera del 14 e c’erano migliaia di sfollati). Nel numero di domenica 20 novembre della Prealpina si scriveva proprio di una ripresa del maltempo, con l’Olona e l’Arno che straripavano: a Gallarate la situazione era preoccupante già dal giorno prima, con l’allagamento di Cascina Asnaghi e diversi interventi dei vigili del fuoco, da Cajello (in via Larga) a via Volta nella zona del centro attraversata dal torrente, dietro piazza Risorgimento.

Febbrili erano stati i tentativi di contenimento dei danni, oltre alla chiusura di tutte le scuole: lo svuotamento delle cantine nelle abitazioni private e la posa di sacchetti ripieni di terra in via Monsignor Macchi, lungo gli argini del torrente che erano stati danneggiati pochi giorni prima. Inoltre, il giornalista testimoniava la preghiera del prevosto monsignor Antonio Simbardi che, con le reliquie del santo patrono della città, impartiva benedizioni.

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Il quadro sulla provincia di Varese nella edizione del 20 novembre 1951 della Prealpina

Verso sera la pioggia diminuì: alle 19, in piazza Libertà, si registrava un livello d’acqua inferiore di quaranta centimetri rispetto a quello di lunedì 12, mentre intorno alle 21.30 alcune vie risultavano già sgombre. A sera comunque “la pioggia che continuava a cadere insistentemente, non permetteva di aprire interamente il cuore della speranza”. I danni spesso furono ingenti: per esempio la sede degli scout al Faietto richiese oltre due mesi di lavoro per essere ripristinata, ricorda la recente pubblicazione sul movimento a Gallarate.

Le alluvioni a Gallarate

Il torrente Arno era stato rettificato e sistemato nell’Ottocento e a inizio Novecento, con un nuovo letto del fiume che aggirava il borgo da Nord-Ovest (nella zona dove è scavalcato dalle vie Volta, Tenconi, corso Sempione). Il nuovo “tracciato” consentiva di evitare il punto più critico, l’ansa che corrispondeva alla zona di piazza Risorgimento: da qui l’acqua defluiva verso l’attuale via Roma – che non esisteva – ma in caso di forti piogge il torrente straripava e l’acqua limacciosa s’infilava nella stretta via che porta in piazza Libertà.

La festa del santo patrono di Gallarate
L’arazzo settecentesco con la piazza gallaratese allagata. La chiesa ritratta è la collegiata quattro-cinquecentesca poi abbattuta nell’Ottocento e sostituita dall’attuale, più ampia basilica. Identico è invece il campanile

Fra le inondazioni più gravi lo storico Victor Piceni ricordava quelle dell’8 ottobre 1629, del 28 maggio 1638, del 24 luglio 1732, del 16 agosto 1765, del 20 settembre 1771, del 20 luglio 1843 e del 10 settembre 1852. Dopo la rettifica del corso del torrente, il centro del borgo (che già si faceva città) fu nuovamente invaso dall’acqua il 9 dicembre 1910. Poi appunto ancora il 1951. A confronto con i gravi episodi del passato, assai meno devastanti – per il centro di Gallarate, sia chiaro – furono le alluvioni del 1991 e 1995, che colpirono invece più duramente Arnate, Cedrate, Cassano Magnago.

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L’alluvione del 1910, ripresa da un piano alto di via Mazzini

Una diga per proteggere Gallarate

La vera svolta è arrivata negli anni Duemila, con la realizzazione nel 2006 delle vasche di laminazione tra Cedrate, Cassano e Oggiona, che consentono di gestire le piene allagando appunto i prati a Nord della città: circondate da alti argini, le due vasche possono contenere un massimo di 1,1 milioni di litri d’acqua.

Il "parco" tra Gallarate, Cavaria e Cassano Magnago (inserita in galleria)
Le vasche di laminazione a Nord della città

Nella zona Sud di Gallarate un’ulteriore intervento ha risolto il problema del tombone di piazza Piemonte ad Arnate, la cui conformazione creava straripamenti in occasione delle piene. Quest’ultime comunque si sono presentate in modo meno devastante proprio grazie alle vasche di laminazione, che sono messe in funzione alla bisogna da Aipo, l’autorità di bacino del Po che ha competenza su tutto il bacino idrografico di cui l’Arno fa parte.

vasche laminazione gallarate
La prima vasca di laminazione allagata in occasione delle forti piogge il 13 novembre 2014

A questo punto negli ultimi anni l’attenzione ha finito per concentrarsi sul Sorgiorile, corso minore (solitamente in secca) che crea in particolare problemi ai tomboni in via del Lavoro e in via Pegoraro, bisognosi di costanti attenzioni eppure spesso esondati con danni.

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Pubblicato il 12 Novembre 2021
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