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Penelope

di Elda Caspani

Il racconto della domenica

Sono nata al suono del tlic-tlac dei licci dei telai a mano del nonno che tessevano preziosi arazzi. Il nonno disse : “Finalmente è arrivata l’erede che continuerà a tessere i nostri arazzi”, strillai il mio diniego con tutta la forza dei miei tre chili scarsi di peso. È iniziato così il viaggio della mia vita. Mi chiamo Penelope.
Perché proprio questo nome? Nessuno in famiglia si è mai chiamato così.
Ho subìto commenti ironici fin da piccola. Mi interrogavano sempre a che punto fosse la tela. “Ma di che cosa parlano”, mi chiedevo irritata.
Presi a odiare i telai del nonno e i famosi arazzi di famiglia. Anche se, per la verità, mi piacevano e i miei migliori amici erano gli operai che li realizzavano. Ammiravo la loro competenza, perizia, la sveltezza nel far passare la spola giusta nell’ordito per comporre quei capolavori.
Quando fui più grande trovai il nome di Penelope immortalato nel poema di Omero, allora capii la faccenda della tela. Quello che lessi non mi piacque.
Non mi sono mai identificata in quel tipo di figura femminile, custode della famiglia, moglie virtuosa che aspetta con fiducia e pazienza il ritorno dello sposo. Rappresentava ciò che fanno le donne da sempre.
Assente il suo marito, non era né moglie né vedova. Si fece astuta, iniziò a tessere una tela che non aveva intenzione di finire per le note vicende. Era stata educata ad assumere responsabilità e, per quanto piccolo fosse il loro regno, assolse il suo dovere di capo, di reggente.
E se Ulisse si avventurò a esplorare i limiti del conosciuto, si confrontò con l’ignoto, superò ostacoli nuovi, vide e imparò cose mai viste prima, usò il potere della forza della ragione, l’astuzia, l’ingegnosità, l’esperienza e conoscenza, poté farlo proprio grazie a Penelope. Partendo, riconobbe in lei la capacità di difendere e custodire la loro casa, il regno.
Io portavo il nome di Penelope, ma non ero lei.
Ero curiosa, volevo sapere, provare emozioni, era quello il motivo per cui ero nata. Sotto questo aspetto ero in sintonia con Ulisse.
Un giorno dissi che volevo andare a vedere cosa c’era “fuori”.
La mamma mi guardò, capì, e disse “vai”.
Compresi che amare vuol dire non limitare le persone che si amano per il desiderio egoistico di averle accanto a sé. Occorre avere la generosità e il coraggio di lasciarli andare a vedere cosa c’è là fuori, e accontentarsi di amarli a distanza.

Racconto di Elda Caspani (www.ilcavedio.org)

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Pubblicato il 01 Ottobre 2023
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