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Strage a Gallarate: il 20 gennaio 1945 mitragliamento e bombe sul treno da Milano

Aerei alleati colpirono un treno alle porte della città, causando nell'immediato 34 morti e 67 feriti. Un episodio poco conosciuto, che ricorda l'orrore della guerra in cui era precipitata l'Italia dal 1940

mitragliamento bombardamento treno Gallarate 1945

Operai, impiegate, “sfollati” dai bombardamenti su Milano, ma anche chi era in viaggio per un lieto evento. Erano decine, a bordo del treno passeggeri del mattino da Milano a Varese, attaccato da cacciabombardieri americani alle 8.40 del mattino del 20 gennaio 1945, all’altezza della stazione di Gallarate. Ci furono 34 morti nell’immediato, altri seguirono nei giorni successivi.

Un fatto storico poco ricordato, forse anche meno di altri episodi simili – anche solo limitandosi al solo gennaio 1945 – che hanno lasciato tracce di memoria, ad esempio negli ex voto dei santuari delle zone colpite (foto di apertura: rielaborazione di un ex voto al santuario di Oropa, riferito all’attacco al “trenino” a Orbassano, vicino a Torino).

In quel periodo gli aerei americani e inglesi davano la caccia a qualunque cosa si muovesse, per paralizzare il sistema produttivo e militare nell’Italia occupata da un anno e mezzo dai tedeschi, contro cui la guerra durava da cinque anni.

La linea ferroviaria Milano-Gallarate-Varese era ancora piuttosto trafficata: oltre a servire una zona industrializzata (anche con fabbriche belliche), garantiva gli spostamenti a migliaia di persone che erano “sfollate”, che avevano lasciato Milano per timore dei grandi bombardamenti notturno che l’avevano colpita a partire dall’estate 1943, allo scopo di fiaccare il morale della popolazione e spingere alla resa.

E in effetti su quel treno del mattino a Gallarate c’erano molti lavoratori ma anche molte persone che – per ragioni diverse – si spostavano da Milano verso la provincia.

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Il titolo della Cronaca Prealpina del 21 gennaio 1945

L’attacco al treno Milano-Gallarate

Alle 8.40 il treno da Milano (composto da motrice elettrica e carrozze) era giunto quasi alle porte di Gallarate, all’altezza del santuario di Madonna in Campagna, zona di periferia industriale dove i convogli rallentavano per affrontare i primi scambi verso la stazione, meno di un chilometri più avanti.

Quattro aerei (statunitensi) sbucarono da Sud, attaccando come di norma controsole, per evitare rischi dalla eventuale contraerea, che pure a Gallarate non c’era, essendo concentrata solo nella zona dei campi d’aviazione di Malpensa.

«Prima hanno sganciato poi sono ritornati a mitragliare» raccontava il giorno dopo al quotidiano La Cronaca Prealpina uno dei sopravvissuti, Egidio Rena, di Busto Arsizio, ferito al ginocchio. 
Dopo il primo passaggio molti cercarono riparo sotto alle carrozze o fuggendo tra i binari, con il rischio di rimanere folgorati dalla corrente a 650 Volt che alimentava i treni attraverso la “terza rotaia” parallela al binario. Le testimonianze riportate sui giornali non sono chiarissime sulla sequenza dell’attacco (prima le bombe o il mitragliamento?), forse svolto da due coppie di aerei che avevano attaccato a distanza ravvicinata.

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Un treno della Milano-Varese alla stazione di Legnano: accanto ai binari c’era la terza rotaia elettrificata per l’alimentazione delle motrici

Le vittime e i soccorsi del mitragliamento

Gli effetti furono in ogni caso devastanti, con 34 morti e 67 feriti gravi, per i colpi delle mitragliatrici (grossi proiettili da 12,7 mm, dal diametro di più di un centimetro) e delle schegge delle bombe.

Molte delle vittime erano impiegate e operai che risiedevano nell’Alto Milanese, a Legnano, San Giorgio, Canegrate. Nonostante il tempo di guerra, non si rinunciava a muoversi anche per lieti eventi: così tra le vittime si trovano una giovane donna di Milano che andava a trovare la sorella che aveva appena partorito alla maternità del Sant’Antonio Abate di Gallarate o ancora una donna sfollata che tornava nel Varesotto dopo aver celebrato l’anniversario di matrimonio con il marito, rimasto a Milano.

Fiorella e il ricordo del mitragliamento a Gallarate nel ’45. “Quel giorno ho perso mia mamma”

Sei furono le vittime di Busto Arsizio. Angela Bramati, impiegata, morì sul colpo, mentre il fratello, anch’egli impiegato, spirò invece all’ospedale per le ferite. Morì un panettiere 18enne di Sumirago, Iginio Bettanio.

C’erano anche vittime molto giovani, come una quattordicenne e una sedicenne milanesi, una quindicenne morta il giorno dopo in ospedale.La maggior parte dei feriti andarono al vicino ospedale Sant’Antonio Abate di Gallarate: le cronache ricordano anche il bisogno di sangue per trasfusioni che si registrò (un gallaratese, Rinaldo Martegani, donò per ben tre volte in un giorno).
Tra i feriti citati dai giornali in quei giorni, anche l’unico gallaratese coinvolto, fu il 44enne Ernesto Caggiano.

I funerali di una ventina delle vittime (tra cui una non identificata) si tennero a Gallarate tre giorni dopo, nonostante i morti non fossero del posto. Altrettanto avvenne a Busto Arsizio: le cronache riportano il cordoglio, le maledizioni agli anglo-americani «scomunicati della civiltà», con i toni plumbei di un’Italia fascista ormai alle corde, in cui sui giornali si evocava un clima quasi di sacrificio finale collettivo, di «suggestivo e come irreale misticismo».

Gli altri attacchi della giornata tra Gallarate e Busto Arsizio

Nella stessa giornata si registrarono anche altri due attacchi.
Quattro caccia avevano colpito una locomotiva elettrica, ferendo cinque ferrovieri residenti a Gallarate, Lonate Pozzolo e Samarate.

Secondo i dati dell’Usaaf (l’aviazione americana, allora dipendente dall’esercito) quattro aerei P-47 Thunderbolt del 27th Fighter Group erano decollati nel primo pomeriggio da Pontedera, in Toscana, e nella zona del Nord Milano avevano sganciato 8 bombe e sparato quasi quattromila colpi di mitragliatrice.

Oltre all’attacco al treno merci a Gallarate, gli stessi aerei avevano colpito un treno (con autoblindo e cisterne) in altra località, mentre a Busto Arsizio era stato mitragliato un camion con rimorchio, provocando danni.
La Cronaca Prealpina però qui riferiva che non c’erano stati danni a cose e persone: si era comunque in guerra e non era il caso di ammettere le proprie perdite militari (mentre i danni ai civili venivano ovviamente usati per mostrare la disumanità del nemico).

In guerra nessun riguardo per i civili

Nell’esaminare oggi i fatti del 1945 non si deve pensare che vi fosse una qualche attenzione per i civili: erano considerati bersagli legittimi.

Il primo a ipotizzare bombardamenti di massa sulle città e i civili erano stati peraltro un italiano, Giulio Douhet, che dopo i massacri delle trincee della Grande Guerra era convinto, paradossalmente, che un attacco devastante sulla capitale nemica avrebbe portato alla resa ed evitato più grandi tragedie.

Le prime sperimentazioni di bombardamenti strategici sulle città furono attuate durante la guerra civile spagnola dalla Luftwaffe tedesca (sulla celebre Guernica) e dalla Regia Aeronautica italiana (su Barcellona, mille morti). Ma fu con la Seconda Guerra Mondiale che assunsero dimensioni apocalittiche, prima ad opera dei tedeschi su Londra e Coventry, poi dagli Alleati, in particolare dagli inglesi che colpivano di notte sganciando sulle città.

I bombardamenti terroristici e gli attacchi di “Pippo”

Devastanti in Italia furono i bombardamenti su Napoli, Palermo, Torino e Milano.
Solo la scarsa presenza di legno evitò a Milano, nell’agosto 1943, di subire la distruzione totale con la tecnica della “tempesta di fuoco” che ebbe invece successo a Dresda. I bombardamenti erano associati anche al lancio di volantini – in altri momenti – per convincere la popolazione a ribellarsi, come in parte avvenne con gli scioperi operai e dei trasporti tra 1943 e ’45, “per il pane e per la pace”.

Le azioni come quella di Gallarate invece appartenevano ad un altro genere: si trattava della campagna di attacchi aerei continui avviata a cavallo tra 1944 e 1945 per paralizzare completamente gli spostamenti, colpendo treni, battelli lacustri, camion, tram, auto. Mitragliare un treno significava uccidere gli operai che andavano a lavorare nelle fabbriche che producevano armi o comunque terrorizzare tutta la popolazione (del resto, è obiettivo più o meno dichiarato anche nei conflitti più recenti, dall’Ucraina a Gaza).

Solo per stare a quel primo mese del 1945, possiamo ricordare mitragliamenti di treni con strage di civili nei dintorni di Torino al 9 gennaio e in Val Seriana, vicino a Bergamo, il 29 gennaio. Il 30 gennaio il treno da Saronno a Milano fu mitragliato e bombardato a Bollate, con 84 morti, e sulla statale del Sempione a Rho fu mitragliato il tram Milano-Gallarate.

La testimonianza di Liliana, che nel 1944 sopravvisse al bombardamento di un treno a Cislago 

Il dovere della memoria degli orrori della guerra

A distanza di 80 anni dal secondo conflitto mondiale, ricordare questi episodi dovrebbe mettere in guardia contro gli orrori della guerra che – inevitabilmente – travolgono i civili, più o meno intenzionalmente.

Da questo punto di vista – tenendosi lontani da toni propagandistici e nel riconoscimento anche dei lutti derivati dalla guerra scatenata dall’Italia e dal fascismo nel 1940 – è auspicabile che anche Gallarate e l’Alto Milanese mantengano la memoria di questo episodio, ancora oggi misconosciuto.

Una proposta venne già in occasione del 75esimo da Angelo Bruno Protasoni: «Mi rendo conte del rischio di bassa strumentalizzazione del ricordo di questo tragico episodio. Come se un atto criminale fra i liberatori potesse in qualche modo attenuare, bilanciare o giustificare il crimine di chi aveva privato l’Italia di ogni diritto civile e politico, l’aveva resa teatro di una ignobile persecuzione razziale, l’aveva infine portata a una folle guerra di aggressione. Forse è per questo timore che c’è stato un così assordante silenzio, per troppi anni, nella nostra comunità rispetto a quanto è successo a Gallarate il 20 gennaio 1945. Ma il crimine va denunciato e combattuto sempre, chiunque l’abbia commesso».
L’80esimo anniversario, nel 2025, potrebbe essere il momento giusto.

 

Tra le fonti utilizzate per questo articolo: quotidiano “La Cronaca Prealpina”, nei giorni tra 21 e 25 gennaio 1945; Nicola Labanca, “I bombardamenti sull’Italia”, il Mulino; Mimmo Franzinelli, “Storia della Repubblica Sociale Italiana 1943-45”, Laterza; Pier Giuseppe Sironi, “Figure nel vento: guerra e quotidiano in una città lombarda di provincia, 1939-1945”, Antonio Ferrario editore Gallarate; Achille Restelli, “I bombardamenti aerei nella Seconda guerra mondiale. Milano e la provincia”, in “Italia Contemporanea”, giugno 1994; Stefano Briante, “La guerra di carta: bombardamenti alleati e propaganda durante il secondo conflitto mondiale”, tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, 2022; Aa.vv., “Il tram Milano-Gallarate”, Calosci.
Si ringrazia Nicole Erbetti per la ricerca in emeroteca. 

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 20 Gennaio 2024
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