La Lombardia che consuma suolo. La logistica e le strade prendono il posto di prati e boschi
Legambiente: “A livello nazionale i dati più negativi dal 2012: il consumo di suolo aumenta in un Paese in declino demografico. Serve una legge per una vera rigenerazione urbana”. Buone notizie da Bruxelles: approvata la Direttiva europea sul suolo
Quelli presentati oggi sono i più negativi, da quando vengono pubblicati annualmente i dati sul consumo di suolo: se il consumo di suolo è l’impronta vista dall’alto della crisi climatica, allora la situazione restituita per il nostro Paese appare decisamente critica.
Dal 2012, anno in cui l’Ispra (l’isituto superiore di protezione ambientale) ha avviato il proprio sistema di monitoraggio, non si era mai registrata una perdita così estesa di suoli agricoli come nel 2024, a seguito della crescita di urbanizzazioni e infrastrutture. Un dato ancora più sconcertante se si considera che questa corsa alla cementificazione avviene in un Paese in declino demografico.
Preoccupa anche lo spostamento del fenomeno verso Sud: Puglia, Sicilia e Sardegna raggiungono o superano oggi i livelli di consumo di suolo di regioni tradizionalmente più urbanizzate come Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Lazio.
L’Emilia Romagna mantiene il record di consumo annuale: ben 1012,9 ettari consumati nel 2023. Segue la Lombardia, con 834,1 ettari, poco di più di quanto consuma la Puglia.
Dentro alla Lombardia guidano la classifica le province di Milano e Brescia, con un consumo annuale quasi identico (rispettivamente 161 e 160 ettari), cui seguono Bergamo (123), Mantova, Pavia, Varese, Monza e Brianza (57,78, un dato alto se si considera la limitata estensione della provincia), Cremona e via via le altre, con Lecco a chiudere (soli 4,48 ettari).

Se si scende al livello di singoli Comuni, la classifica segnala come la minaccia al suolo fertile arrivi in molte province e aree apparentemente periferiche: il Comune che ha consumato di più è Lonato sul Garda (16,9 ettari, prevalentemente per logistica), poi Noviglio, piccolo comune agricolo del Sud Milano in cui è in costruzione un grande data center, una delle minacce crescenti per il suolo (16,35 ettari). Solo al terzo e quaro posto si trovano delle città, rispettivamente Bergamo e Milano.
Ma se si scende nella classifica (negativa) si trovano altri casi interessanti, come quelli di Orio al Serio e Casorate Sempione, dove il consumo di suolo è legato a nuove infrastrutture complementari agli aeroporti, come la ferrovia Gallarate-Malpensa.
«Sempre più cemento sui campi, sempre meno abitanti in città: pesano responsabilità di amministratori locali, ma anche un quadro obsoleto di norme, nazionali e regionali, inadeguate a fornire strumenti per il governo sostenibile delle trasformazioni urbane e territoriali» dice Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. «È necessario invertire la rotta, per puntellare con disposizioni di legge il principio ‘zero consumo netto di suolo’, orientando il settore delle costruzioni al rinnovo degli spazi già costruiti per puntare all’aggiornamento delle città secondo criteri di reale rigenerazione urbana e di adattamento alla crisi climatica. È altrettanto urgente modificare l’articolo 5 del DL agricoltura che ha vietato il fotovoltaico a terra, che si limita a usare il suolo, che invece viene consumato pesantemente da nuove aree residenziali o produttive, poli logistici e data center, che è ancora possibile paradossalmente realizzare per legge sui terreni agricoli del nostro Paese».
In un contesto generale piuttosto cupo, arriva da Bruxelles una notizia positiva: giovedì 23 ottobre il Parlamento Europeo ha approvato in via definitiva la direttiva sul suolo, la Soil Monitoring Law. Si tratta della prima normativa europea dedicata alla tutela dei suoli, anche se il testo finale risulta molto meno ambizioso rispetto alla proposta iniziale. Nata con l’obiettivo di proteggere la salute e l’ecologia dei terreni europei, la direttiva si limita ora a definire un quadro comune di monitoraggio del suolo, con particolare attenzione ai diversi fattori di degrado, a partire dalla contaminazione.
«La direttiva – aggiunge Damiano Di Simine, responsabile suolo di Legambiente – non risponde certo alle aspettative della petizione europea da noi promossa a suo tempo con l’iniziativa dei cittadini europei People4soil, ma segna comunque un precedente di valore storico: per la prima volta, la tutela del suolo entra nel diritto dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri. Grazie alla norma approvata ieri possiamo almeno iniziare a sviluppare una piattaforma comune di dati e conoscenze accurate sullo stato di salute dei suoli, e definire criteri comuni per il loro risanamento, un aspetto non secondario se si considerano le migliaia di siti contaminati presenti nel nostro Paese e in tutti gli Stati dell’Unione. Confidiamo in tempi migliori per poter quanto prima passare dalla conoscenza alla tutela del suolo».
Secondo Legambiente, l’approvazione della direttiva, pur insufficiente, rappresenta un segnale in controtendenza rispetto all’indebolimento delle politiche ambientali che incidono sulla salute del suolo. È il caso del pacchetto delle norme di semplificazione, che indeboliscono la normativa sull’uso dei pesticidi in agricoltura aprendo all’uso di deroghe anche per sostanze non autorizzate, e attenuando il principio di precauzione sull’uso di sostanze chimiche in campo aperto. Ma anche dell’ammorbidimento delle norme di condizionalità presupposte all’accesso degli aiuti della PAC, la Politica Agricola Comune di cui beneficia gran parte delle aziende agricole europee: il testo votato nelle scorse settimane dall’Eurocamera per la ‘semplificazione’ della PAC, infatti, oltre a concedere maggiori possibilità di dissodare i prati stabili, elimina le norme volte a limitare le lavorazioni dei suoli suscettibili di causare erosione, ed inoltre consente di convertire i terreni condotti a prato o pascolo nei siti della rete Natura2000.
«I suoli – ricorda Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente – devono essere tutelati non solo dal consumo di cemento, ma anche da pratiche agricole che ne compromettono la salute. Il suolo è la cassaforte della vita sulle terre emerse: un terreno sano trattiene la CO₂, legandola all’humus, elemento chiave della fertilità. In molte aree agricole italiane, però, l’humus sta diminuendo a ritmi preoccupanti. In un contesto aggravato dagli eventi estremi legati alla crisi climatica, è insensato continuare con lavorazioni aggressive che favoriscono erosione e dissesto. Le superfici a prato e pascolo vanno invece considerate un vero patrimonio nazionale: sono i nostri suoli migliori, fondamentali per un allevamento sostenibile e ricchi di biodiversità».
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