Se abiti in una cantina e fai la badante, i giorni di Natale sono benedetti
Caterina è rimasta senza una vera casa ormai da mesi, per questioni di età ha un lavoro solo nel weekend e nei festivi. E così la sequenza di giorni natalizi diventa un modo per avere un luogo accogliente dove stare. Una storia di precarietà che vivono anche altre lavoratrici domestiche
Il seminterrato è caldo anche in questa stagione, perché ci passano i tubi del riscaldamento. Tra scatoloni e un armadio c’è anche un divano trasformato in letto. È quello su cui da due mesi dorme Caterina (nome di fantasia), 75 anni, di professione badante.
«La signora che curavo è morta a ottobre, grazie a conoscenti ho potuto mettere le cose in una cantina», racconta. Anche per ragioni di età ha fatto fatica a trovare un nuovo lavoro che mi desse anche la casa. Così per molte notti dormo qui in cantina».
Caterina viene dai dintorni della città di Doneck, la città divenuta nota perché era sulla linea degli scontri tra governo ucraino e separatisti filorussi nel 2014. Cittadina ucraina di lingua russa, Caterina già da anni è anche «orgogliosamente cittadina italiana».
La sua storia è particolare e racconta di uno scivolamento nella povertà nell’arco di anni, anche per colpa di una storia di violenza di genere: «Quando sono venuta in Italia ho iniziato lavorando come insegnante di matematica alla scuola russa di Milano, poi per un periodo ho fatto anche la baby sitter, mi piaceva lavorare con i bambini. Sono arrivata a Busto nel 2016 perché mi ero sposata con un uomo di qui. All’inizio era abbastanza attento ma poi negli ultimi tre anni è diventato autoritario e violento, mi insultava e minacciava di morte. Una sera mi son ritrovato a correre via da casa in ciabatte. Mi sono rivolta a Eva Onlus, nel 2023 sono scappata e mi sono messa a fare la badante» (la vicenda di Caterina in questo ultimo decennio si svolge tutta nella zona di Busto e dintorni).
Negli ultimi anni è passata a fare la badante, la formula 24 ore su 24 le consentiva anche di avere una casa.
«Nel 2024 ho finito di lavorare con una persona con Alzheimer, perché non riuscivo più a gestirla. Così un anno fa esatto ho perso il lavoro, per questione di età ho fatto fatica a trovare un posto stabile».
“Reddito troppo basso per entrare in una casa”
Caterina ha anche una pensione minima maturata in Italia, ma non avendo sufficiente reddito nei diversi momenti di passaggio tra un lavoro e l’altro ha sperimentato anche la convivenza con alcuni connazionali, un appartamento diviso da lei con altre due coppie. Pur avendo oggi un reddito integrativo dal lavoro di badante, questo si è rivelato insufficiente per affrontare lo scoglio abitativo: «Il mio reddito è troppo basso per dare anticipo delle mensilità che chiedono». È un tema diffuso nelle persone che vivono nella precarietà lavorativa, ma anche abitativa: spesso la precarietà abitativa si traduce anche in maggiori spese “in emergenza”, che erodono ancora di più le capacità di risparmio minimo per mettere via soldi per un anticipo.
E anche la storia di Caterina racconta questo: da ottobre, dopo la scomparsa di una signora che assisteva, si è ritrovata a vivere in una serie di sistemazioni più o meno provvisorie. Oltre alla cantina dove ha le sue cose e il lettino, «altre volte vado da una amica che abita in un bilocale e mi fa stare per dieci euro a notte». Ha una figlia che vive con la nipote in un bilocale, ma è nella periferia di Milano dal lato opposto rispetto a Busto, non facilmente raggiungibile.
In questa fase ha preso contatto anche con il Sunia – il sindacato inquilini della Cgil – e le Acli, per cercare di superare la precarietà ed evitare anche di rimanere senza una residenza anagrafica (cui sono collegati servizi come il medico di base).
La felicità dei giorni di Natale è un letto e una doccia
Caterina trova una sistemazione accogliente solo nel fine settimana, quando sostituisce una collega badante presso una famiglia della zona: il sabato e la domenica, i giorni in cui lavora, sono anche quelli in cui vive con più stabilità. «Sono bravi – dice riferendosi alla famiglia – e faccio in tempo anche a fare la doccia lì».
Così i giorni di Natale sono per Caterina giorni di precaria felicità, in modo diverso dalla felicità dei più: di lavoro ma anche di un luogo che assimigli davvero a casa. «Riesco a stare a casa loro per cinque notti, dal 24 al 28 dicembre sono lì», grazie alla successione di giorni festivi e di fine settimana.
Poi, passate le feste, tornerà alla precarietà che vive da tre mesi: con le notti sul lettino in cantina, qualche notte dalla figlia, qualcun altra nel letto fornito da una «amica» a dieci euro. La speranza, a 75 anni, è uscire dalla precarietà per la casa.
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