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Un aereo nella tempesta: la tragedia del Monte San Giacomo, 2 agosto 1968

Il secondo più grave disastro aereo legato a Malpensa, con dodici vittime, avvenne a Nord dell'aeroporto: l'aereo finì fuori rotta, rischiò di atterrare sulla pista dell'aeroclub di Vergiate, si schiantò tra le boscose colline

Vergiate Varie

Il 2 agosto del 1968 sopra Malpensa il tempo atmosferico era pessimo.
Un temporale violentissimo
, con precipitazioni tanto abbondanti che, secondo le statistiche metereologiche, fu il giorno più piovoso degli ultimi quarant’anni, nella zona. E quello fu il giorno di uno dei peggiori incidenti aerei avvenuti nei dintorni dello “scalo della brughiera: un DC-8 dell’Alitalia si schiantò sul Monte San Giacomo, la collina boscosa sopra al borgo di Cuirone frazione di Vergiate. Lo schianto fu violento – l’aereo perse le ali – ma non fatale. Lo fu invece il rapido incendio successivo, che costò la vita a dodici persone.

Il DC-8 (un quadrimotore jet, allora molto moderno) era impegnato in un volo Fiumicino-Montreal, con scalo a Milano Malpensa. Imbarco di passeggeri per il Canada, sbarco di qualche passeggero sulla tratta interna Roma-Milano. Ai comandi dell’aereo, con marche (la “targa” del velivolo) I-DIWF c’era il comandante Fabio Staffieri, un pilota esperto.

Nel primissimo pomeriggio i bollettini meteo avvertirono dei forti temporali in arrivo sulle Prealpi – come si legge sul dettagliato resoconto di Aeroporti lombardi –, la torre di Fiumicino consigliò un rinvio, ma Staffieri decise di partire ugualmente (sull’aereo, tra equipaggio e passeggeri, erano in novantacinque), arrivando sul “sentiero” di avvicinamento a Malpensa proprio nel mezzo del temporale, con le interferenze elettromagnetiche dentro nelle nubi che ingannarono gli strumenti di bordo che captavano anche i segnali dai radiofari a terra.

Così il comandante del DC-8 prima si ritrovò fuori asse rispetto alla pista (riconobbe per un secondo il “grattacielo” di Busto Arsizio, capendo di essere troppo a Est), poi fece una virata a trecentosessantagradi per riallinearsi alla pista ma avvistò per errore quella del piccolo aeroporto di Vergiate. L’atterraggio si trasformò così in incubo: a pochi metri dal suolo, nel mezzo della tempesta, il comandante si rese conto di aver di fronte una pista troppo breve, meno di un chilometro, assolutamente insufficiente per consentire ad un DC-8 (che pesava decine di tonnellate) di fermarsi senza danni. Il pilota tentò di ripartire, tirò dentro il carrello e spinse al massimo i quattro motori, ma non ci fu niente da fare: si trovò di fronte l’alta collina.

L’impatto fu violento, il Dc-8 si schiantò sui robusti alberi del monte, perse le ali e si fermò in mezzo al bosco, sul pendio. Quasi per miracolo, dopo il primo impatto a bordo i feriti erano pochi, ma l’incendio successivo uccise dodici passeggeri rimasti intrappolate nella parte posteriore dell’aereo (alcune fonti riportano erroneamente tredici). Gli altri furono soccorsi quasi subito dagli abitanti di Cuirone, il paesino che stava a poche centinaia di metri dalla collina: furono guidati da don Nando Macchi, che compare in una delle foto più famose del disastro.

Un giorno rimasto impresso nella memoria dei – pochi – abitanti della zona, che era ed è ancora per certi versi prevalentemente agricola, pur essendo Cuirone frazione di Vergiate, piccolo centro con una significativa presenza industriale: oggi una lapide sul fianco della chiesa di San Materno ricorda le vittime di quel giorno, mentre dodici targhette più piccole ricordano le vittime su altrettante panche all’interno della parrocchiale.

Vergiate Generica
Il pannello con la scritta Dc-8 rimasto a Cuirone. L’indicazione del modello era integrata nella livrea a filetti blu usata allora da Alitalia

Quello del Monte San Giacomo è il secondo peggiore avvenuto nella zona di Malpensa, dopo quello che vide precipitare un Constellation della TWA  nei dintorni di Olgiate Olona, in fase di decollo, con la morte di tutte le 70 persone a bordo.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 02 Agosto 2020
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