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Clara Pirani, la maestra ebrea di Gallarate uccisa dai burocrati del fascismo

Da oggi in via Palestro-via del Popolo la ricorda una "pietra d'inciampo". Che fa scoprire una storia agghiacciante: la sua deportazione fu avviata non dai nazisti, ma da italiani

Generica 2020

Dov’erano i nostri padri e le nostre madri, negli anni del nazismo e della Shoah?
Questa domanda ha perseguitato una generazione, in Germania, dopo il 1945, dopo lo sterminio di milioni di ebrei, slavi, omosessuali, oppositori politici. In Italia questa domanda è risuonata meno e assai meno si è fatto i conti con le responsabilità – individuali, collettive – di fronte al male.

Lo racconta bene la storia di Clara Pirani, la maestra ebrea deportata da Gallarate ad Auschwitz e da oggi ricordata da una “pietra d’inciampo” di fronte alla casa dove abitava e in cui fu arrestata, in via del Popolo angolo via Palestro.

Clara Pirani arrivò a Gallarate al seguito del marito, il professor Cardosi, preside del liceo ginnasio che allora si trovava nell’edificio delle scuole di via Palestro. «All’arrivo della famiglia a Gallarate, uno zelante funzionario del Comune aveva registrato Clara Pirani – e le sue figlie – come appartenenti alla “razza ebraica”. Anche le ragazze in età scolastica erano quindi state allontanate da scuola. Essendo di “razza ebraica”, in quanto figlie di madre ebrea, non potevano frequentare le scuole pubbliche» ha ricordato nel suo discorso Michele Rusca, presidente della sezione gallaratese dell’Associazione Mazziniana, che con Anpi Gallarate ha curato il percorso per installare tre pietre d’inciampo in città.

La storia di Clara Pirani è una storia di ottusa, fredda burocrazia, quella dei funzionari dello Stato fascista e poi – dal 1943 – della (illegittima) Repubblica Sociale Italiana. È una storia di responsabilità individuali, italiane prima che tedesche, dai più alti gradi a chi curò l’arresto.

 Clara Pirani

A maggio del 1944 Clara Cardosi e le sue figlie furono infatti tutte arrestate nella casa di via Palestro, da agenti della polizia italiana. Le bambine, figlie di un ariano e di una ebrea convertita al cattolicesimo, vennero per fortuna scarcerate e dalla Questura di Varese tornarono a casa.
Clara Pirani invece finì ad Auschwitz, dove arrivò domenica 6 agosto 1944: finì subito nelle camere a gas, insieme a 188 altre persone.

La giustizia negata e i giusti sacrificati

Vita tranquilla ebbero, tutto sommato, i vari funzionari che ebbero un ruolo nella deportazione, alcuni rimasti nel Varesotto per anni. Ingranaggi di un freddo meccanismo che si concludeva con un assassinio.
«Mario Bassi, ex Capo della Provincia e mandante di tutti gli arresti nel territorio varesino, fu scarcerato nel gennaio 1947. Fra le motivazioni attenuanti, la “non grave intensità del dolo”» ha ricordato ancora Michele Rusca nel suo discorso che ha ripercorso la storia tragica di Clara Pirani e delle responsabilità.

 Clara Pirani

«L’ex questore di Varese Luigi Duca, che firmò l’ordine di arresto e di consegna ai tedeschi, uscì indenne dalla parentesi giudiziaria. Nel 1981, a 81 anni, fu eletto sindaco in Valganna». Il provvedimento di amnistia del Ministro Togliatti cancellò le responsabilità del funzionario di Polizia Santoro, che aveva curato l’arresto, così come quelle del commissario prefettizio di Gallarate, Angelantonio Bianchi, «che tornò a Fondi, nella sua città d’origine in provincia di Latina, dove riprese la sua attività di funzionario nella amministrazione comunale e dove morì nel 1974».

Il Maresciallo SS Otto Koch, responsabile delle deportazioni presso il Comando Germanico di Milano, rientrato in patria riprese a vivere e a lavorare indisturbato: morì in casa di riposo il 15 marzo 1996. «Spesso noi condanniamo, giustamente e doverosamente, i processi sommari e le vendette che ci furono, in alcune occasioni, nell’immediato dopoguerra. Ma non dobbiamo dimenticare, sull’altro versante, la massa di colpevoli impuniti».

Anche tra i funzionari dello Stato, però, ci fu chi si ribellò: Clara Pirani prima di arrivare ad Auschwitz passò dal carcere di San Vittore, da cui riuscirà a scrivere lettere strazianti alla famiglia, anche grazie ad un agente di custodia che aveva invece deciso di ribellarsi di nascosto e di aiutare gli ebrei e gli oppositori, Andrea Schivo.

Pochi giorni dopo il trasferimento di Clara Pirani, anche l’agente Schivo fu scoperto, dopo che nella cella di una prigioniera ebrea fu ritrovato un ossicino, residuo di una porzione di pollo che Schivo era riuscito a far entrare di nascosto. L’agente penitenziario – che aveva deciso di essere giusto in un tempo di ingiustizie – fu così deportato dai nazisti a Flossenbürg, dove morì d’inedia. La Repubblica l’ha insignito della Medaglia d’oro al valor civile alla memoria, per “elevato spirito di servizio, encomiabile abnegazione”, ma soprattutto – vien da dire – per quello “spiccato senso morale fondato sui più alti valori di umana solidarietà” che lo portò a disobbedire agli ordini ingiusti.

La cerimonia della pietra d’inciampo per Clara Pirani a Gallarate

Molto della vicenda si conosce grazie alla tenacia con cui le tre figlie di Clara Pirani Cardosi hanno cercato, invano, di ottenere giustizia e un risarcimento per la loro perdita.
Oggi la vicenda risuona – nei luoghi dove si svolse – grazie alla pietra d’inciampo. «Dobbiamo ringraziare voi, cittadini di Gallarate, che siete qui presenti» ha detto Michele Mascella, presidente di Anpi Gallarate, che ha promosso la posa delle pietre insieme ai Mazziniani.

 Clara Pirani

«Mi fa particolarmente piacere vedere la presenza delle scuole, perché sono i ragazzi i primi che ricevono e imparano questo messaggio e l’invito perché che non si ripetano questi tremendi fatti» ha aggiunto l’assessore alla cultura del Comune di Gallarate Claudia Mazzetti. «Soprattutto di fronte a quel che stiamo vivendo oggi con il ritorno della guerra in Europa, nel 2022». Era presente anche il gonfalone dei licei, anche per il legame della scuola con la vicenda, visto che il professor Cardosi era appunto il preside del ginnasio di allora.
I licei, come anche l’istituto Falcone e l’istituto Ponti, sono stati coinvolti nel percorso di conoscenza legato alle tre storie delle pietre d’inciampo gallaratesi.

Il presidente dell’Associazione Nazionale Ex-Deportati Leonardo Visco Gilardi nel suo discorso ha ribadito che «Clara Pirani Cardosi fu, come tanti altri, vittima dello zelo servile dei funzionari della Repubblica Sociale Italiana, che facevano i rastrellamenti, ai danni di ebrei, partigiani, operai. Un servilismo zelante e succube nei confronti dei nazisti».

“Ricordo quelle bambine”

«Le pietre d’inciampo sono un modo per restituire il nome a chi veniva cancellato nella sua personalità e identificato solo da un numero e dal triangolo che mostrava la categoria in cui era inserito nei campi» ha concluso Visco Gilardi. La famiglia Cardosi scoprì solo dopo mesi, alla fine della guerra, che Clara era morta ad Auschwitz, un nome che sarebbe diventato solo allora noto al mondo.

Oggi sono sempre meno i testimoni diretti ma forse proprio per questo il loro racconto è intenso: Giuseppe Camanni ha 84 anni, era bambino quando nell’agosto del 1945 venne ad abitare nel palazzo di via Palestro. «Andai una sera a casa loro, accompagnato dai miei genitori. Ricordo le bambine – erano più piccole di me – ancora stralunate di fronte a quel che avevano vissuto»

 Clara Pirani

Oggi la memoria è affidata a una pietra d’inciampo e al ricordo dei gallaratesi venuti ad ascoltare. Le figlie di Clara Pirani non ebbero mai figli.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 28 Maggio 2022
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