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Katya e il Natale a Kiev bombardata. “Faticoso e difficile”

Impiegata di 25 anni, era arrivata a marzo come rifugiata, con il "convoglio solidale" partito dalla zona di Malpensa. A fine estate è tornata nella capitale ucraina. Oggi nuovamente assediata dai lanci di missili: il racconto tra luci e buio

«Anche se c’è l’albero di Natale non c’è aria di feste». Katya ha 25 anni e vive a Kiev: aveva lasciato l’Ucraina nel marzo scorso, ma questo Natale di guerra l’ha trascorso nella capitale. Come migliaia di altri arrivati come rifugiati sul finire dell’inverno scorso, dopo un periodo ospite di amici a Vercelli,anche Katya è rientrata nei mesi scorsi. «La vita va avanti», ci racconta appena prima di Natale, collegata da Kiev, dove l’albero di Natale giallo-blu in alcuni momenti si staglia su palazzi quasi completamente al buio. (foto Lyusyena Shum – @lusienashum)

Al ritorno a Kiev, Katya ha vissuto con un’amica, poi si è trasferita in casa di parenti. «Ora vivo in casa con mio cugino, sua moglie e la bambina. Io lavoro da casa e li aiuto con la bambina, la porto a scuola al mattino prima di lavorare».

Come si vive nella città colpita scientificamente per far mancare corrente e riscaldamento?
«Ci sono degli orari in cui manca la corrente, ci avvertono. Ma quando bombardano tanto “saltano” tutti gli orari: ad esempio da venerdì scorso quando hanno colpito di nuovo le infrastrutture è mancata la corrente spesso ma ora [venerdì 23 dicembre, ndr], ma la mia amica per esempio è senza luce da tre giorni. Qui dove vivo la casa non si raffredda subito, anche se manca la corrente per qualche ora. Dove abitavo prima, al quattordicesimo piano, era peggio».

Abbiamo visto le foto dell’albero di Natale in mezzo a case buie. Com’è vivere Natale in una città in guerra?
«Suonano le sirene tutti i giorni, noi cerchiamo di vivere lo stesso. Ad esempio l’altra sera ci siamo trovate io e un’amica, ma uscire la sera è una cosa straordinaria, che si fa ogni tanto: è faticoso, c’è ghiaccio ovunque. La gente cerca di uscire ma non c’è proprio aria di Natale: quando sui social vedevo le persone che negli altri Paesi si preparavano a festeggiare il Natale, a me veniva da piangere».

Com’è la tua vita di tutti i giorni?
«Io sono una contabile, posso lavorare da casa. Per me il lavoro è sempre stata una certezza, anche quando ero in Italia sapevo che l’avrei ritrovato quando tornavo qui dall’Italia. Sono tornata ad agosto a Kyiv. Era un periodo tranquillo, c’erano bombardamenti ma mi sembrava un periodo diverso, anche solo perché non c’era il freddo che rende così difficile tutto».

Per quale motivo esci in questo periodo?
«Prima di tutto per il cibo, poi accompagno la bambina fino a scuola, con gli amici ci troviamo molto meno. Prima di venire a vivere da mio cugino lavoravo in una caffetteria, quando mancava la corrente. Quando manca la corrente sono costretta a uscire ancora. Adesso si lavora quando c’è la corrente, non ci sono più orari, perché non c’è energia per più di 3-4 ore. Due giorni fa per esempio è tornato solo a sera. Prima del 24 febbraio non mi sarei certo immaginata di vivere una situazione così. Non la immaginavo prima, ma anche adesso quasi non ci credo: all’amica di cui dicevo prima ho chiesto “ma come hai fatto a stare per tre giorni senza luce?”. Comunque è molto faticoso e difficile».

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Nei primi giorni dell’invasione avevi vissuto in una cantina con amici in una località di campagna a trenta chilometri da Kiev: sei ancora in contatto?
«
Certo: ci siamo rivisti, stanno bene. Ho anche parlato con la ragazza che avevo conosciuto in treno a marzo e con cui ero arrivata in Polonia: Anastasia mi avevo scritto che cercava lavoro perché voleva restare in Italia, ha lavorato in un albergo al mare. Alla fine mi ha detto che tornava a casa qui vicino a Kyiv, in un paese a cinquanta chilometri».

A marzo ci raccontavi che i tuoi genitori stanno più a Nord, vicino a Chernobyl, verso la Bielorussia: come è stato per loro vivere sotto occupazione?
«Per loro è andato tutto bene, per fortuna: la casa non ha subito danni. Ma ci sono state case ridotte in polvere: quando sono andata lì ero sconvolta. Ci sono state anche delle vittime, ma la maggior parte delle case distrutte per fortuna erano vuote, perché le persone se n’erano andate».

Adesso si torna a parlare di nuovo di invasione da Nord, dalla Bielorussia, dopo l’incontro tra Putin e Lukashenko… c’è preoccupazione? Ne parlate?
«Se ne parla, ma in ogni fase si parlava di un pericolo diverso. A differenza che al 24 febbraio però tutta quella zona è piena di militari, questo ci rende più tranquilli».

Un tempo fermo e un tempo che va avanti

A inizio primavera Katya si era fatta scattare una foto in un parco sul fiume, nella capitale che in quel periodo sembrava tornata lontana dal fronte di guerra.
Ma oggi anche quel tempo sembra lontano: «Il tempo è come se si fosse fermato al 24 febbraio, anche l’estate è passata così: abbiamo visto per un periodo il sole, ma subito è finito. Poi la vita va avanti: anche adesso cerchiamo di vederci, di festeggiare i compleanni, anche se stiamo male di morale cerchiamo di vivere». Una festa, un incontro, vestirsi bene per uscire per una sera: cose normali, che però diventano simbolo di resistenza. «Pensiamo sempre: magari oggi è il nostro ultimo giorno. Sembra un’esagerazione, ma non lo è, è la verità. Resistiamo: verranno tempi migliori».

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 26 Dicembre 2022
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