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Il murale per Roberto Franceschi a Gallarate, a 50 anni dall’omicidio a Milano

Lo studente fu ucciso durante lo sgombero di un'assemblea alla Bocconi: in suo ricordo fu realizzato un grande murale all'istituto Ponti. Oggi l'università milanese dedica l'aula magna e c'è anche la richiesta di rinnovare quella memoria gallaratese

Roberto Franceschi Gallarate

A distanza di cinquant’anni resiste, sul muro di una scuola tecnica di Gallarate, un grande (doppio) murale che ricorda una stagione d’Italia, quella delle proteste studentesche, e la figura di Roberto Franceschi, studente morto dopo esser stato ferito dalla polizia la sera del 23 gennaio 1973.

Franceschi compare nel murale, ben riconoscibile, con i grandi occhiali da studioso che lo caratterizzano nelle foto dell’epoca, con la data del 23 gennaio 1973.  A fianco c’è un corteo che inalbera uno striscione che riporta le parole d’ordine “diritto allo studio – diritto al lavoro”. Un secondo murale, accanto, definisce la scuola “istituto tecnico statale Roberto Franceschi”.

Nonostante la dedicazione dipinta in facciata, il cambiamento di nome (recepito anche dalla pagina wikipedia) non fu mai formalizzato e così nel tempo quella dedicazione informale ma rivendicata a grandi lettere è scomparsa e si è tornati a riferirsi alla scuola come “Istituto Ponti”, dal nome dell’imprenditore cotoniero che la fece nascere a inizio Novecento come scuola per formare operai. 

Roberto Franceschi Gallarate

A riproporre la dedicazione è oggi Osvaldo Bossi, della Associazione Concetto Marchesi, che ha inviato una lettera al dirigente dell’istituto Ponti perché il nome sia recepito oggi, a cinquant’anni dai fatti, quando anche l’Università Bocconi ha dedicato allo studente l’aula magna.

I murales (quello con il corteo e un secondo con il nome a fianco) furono realizzati nell’immediatezza, in una scuola tecnica dove era anche più stretto che altrove il rapporto tra studenti e lavoratori. «I murales erano stati fatti subito, in primavera del 1973» ricorda ancora Bossi, che studiava proprio all’allora Itis.

«Roberto Franceschi – scrive ancora Bossi nella richiesta all’istituto – è vissuto e morto per affermare il diritto delle giovani generazioni a contribuire in prima persona a determinare il loro futuro, un diritto che si esercita solo se sorretto dallo studio e da profonde motivazioni ideali. Chiedendo di intitolare l’Istituto a Roberto Franceschi, crediamo di proporre agli studenti un valido modello di vita, alternativo ai modelli di disimpegno sempre più pubblicizzati in questi ultimi tempi, in cui non si parla più di cittadini consapevoli dei loro diritti ma di utenti e consumatori».

L’omicidio del 23 gennaio 1973

La morte di Franceschi avvenne durante scontri appena fuori dalla Università Bocconi. In ricordo dello studente è stata costituita dai genitori anche una fondazione, che finanzia studi sociali, sul sito così viene ricostruito il giorno dell’omicidio:

La sera del 23 gennaio 1973 era in programma un’assemblea del Movimento Studentesco presso l’Università Bocconi. Assemblee di questo tipo erano state fino ad allora autorizzate normalmente e non avevano mai dato adito a nessun incidente e, nel caso specifico, si trattava dell’aggiornamento di una assemblea già iniziata alcuni giorni prima; ma l’allora Rettore dell’Università quella sera ordinò che potessero accedere solo studenti della Bocconi con il libretto universitario di riconoscimento, escludendo lavoratori o studenti di altre scuole o università. Ciò significava vietare l’assemblea e il Rettore informò la polizia, che intervenne, con un reparto della celere, intenzionata a far rispettare il divieto con la forza.
Ne nacque un breve scontro con gli studenti e i lavoratori e, mentre questi si allontanavano, poliziotti e funzionari spararono vari colpi d’arma da fuoco ad altezza d’uomo.
Lo studente Roberto Franceschi fu raggiunto al capo, l’operaio Roberto Piacentini alla schiena. Entrambi caddero colpiti alle spalle.

«Roberto Franceschi non era un leader studentesco astratto e lontano, era innanzi tutto un ragazzo allegro e vitale, molto serio e molto studioso. In quanto tale, era un modello positivo: non accettava le forme di contestazione che si traducevano nel rifiuto dello studio o nella ricerca di furbesche scorciatoie per ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Per lui lo studio era impegno, fatica, ma anche piacere, nella convinzione che fosse indispensabile per diventare cittadino a pieno titolo, in grado di esercitare un ruolo a sostegno delle proprie idee di libertà e di giustizia». Anche per questo i genitori Lydia e Mario Franceschi costituirono la fondazione dedicandola specificamente a borse di studio e alla ricerca su problematiche sociali.

Negli anni passati i murales per Franceschi – come quello vicino per Fausto e Iaio, uccisi nel 1978 – sono anche stati bersaglio di atti di danneggiamento per ragioni politiche, ma sono sopravvissuti un po’ miracolosamente fino ad oggi, nonostante la memoria dei fatti sia sempre più lontana ed estranea al mondo studentesco di oggi. Tra l’altro la scuola era stata alla ribalta sul finire del 2022 per l’episodio di uno studente che aveva tracciato scritte antisemite e aveva colpito una docente, causando la reazione dell’inter comunità scolastica.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 23 Gennaio 2023
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