Harry Bursich e i cinquant’anni di UISP Varese
Intervista a uno dei fondatori ed ex presidenti: «Nel 1974 il nucleo iniziale fu quello dei CRAL aziendali che organizzavano i tornei. Iniziammo con l'ARCI e puntammo sullo "sport per tutti"»
Uisp Varese compie 50 anni. A fare il bilancio di questo primo mezzo secolo, trascorso con l’imperativo di rendere lo sport «per tutti», è Harry Bursich, uno dei fondatori, nonché presidente di Uisp per due mandati. «All’inizio era Arci Uisp – ricostruisce Bursich -. Il nucleo fondativo di Uisp va cercato nei Cral aziendali, che organizzavano tornei di calcio e dovevano tesserarsi per fare le gare».
Da lì prese il via tutto: «Il presidente di Arci dell’epoca, che era un caro amico, mi lanciò l’idea di fare qualcosa di strutturato per cambiare lo sport, rendendolo per tutti. Nel 1974 abbiamo dunque iniziato a mettere le basi di Uisp Varese, con un primo calendario di corsi per gli insegnanti che si svolgevano nell’ex comando dei vigili del fuoco di via XXV Aprile a Varese. La proposta formativa destò tantissimo interesse: erano tante le maestre di scuola che volevano acquisire nuove conoscenze nel campo dello sport. Nell’ambito di quei corsi ho conosciuto l’attuale presidente di Uisp Varese, Rita di Toro. A seguire abbiamo organizzato un secondo corso a Bobbiate e un terzo a Vedano Olona, da cui è nata la prima associazione di judo divenuta poi Centro sportivo Vela».
Cosa vi ha guidato in questo percorso?
«Eravamo animati da forti ideali. Mettevamo tantissime energie nel capire cosa volevamo proporre di innovativo nello sport. Non immaginate quante riunioni abbiamo fatto. Ma tutto quell’impegno a qualcosa è servito. Quelli erano anni in cui i disabili non avevano accesso nelle palestre, oggi abbiamo visto delle meravigliose paralimpiadi. Qualcosa di grande è successo, anche se purtroppo la medaglia Olimpica vale ancora più del doppio di quella paralimpica».
Cosa significa fare inclusione?
«Significa non dividere le persone in categorie. Per me, tutti quelli che fanno lo sport sono uguali. Poi bisogna fare in modo che il polically correct a tutti i costi non crei delle scorrettezze, perché lo sport deve dare a tutti le stesse possibilità. Qui però si entra in un discorso politico e anche un po’ filosofico, gli atleti non c’entrano».
Cosa è cambiato rispetto al 1974?
«Tante cose. Sicuramente è più difficile gestire Uisp con regole che cambiano tutti i giorni. La burocrazia risucchia moltissime energie e sono richieste sempre maggiori professionalità e competenze».
Cosa augura a Uisp per i prossimi 50 anni?
«Sicuramente di continuare come sta facendo, ovvero di mantenere con sforzi notevoli il concetto di associazionismo. Questo significa favorire il contatto reale tra le persone, privilegiando le attività in presenza rispetto a quelle a distanza. Fare esami e corsi online andava bene quando c’era il Covid, non deve diventare una prassi. I corsi in presenza sono la strada giusta, perché se si perde l’abitudine a guardarsi in faccia si disimpara a stare insieme, e si volatilizzano tutti gli sforzi fatti in questi 50 anni».
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