Walimohammad Atai, una vita salvata dalla cultura e da una donna
L'ex rifugiato afgano oggi fa l'educatore e vive a Busto Arsizio con la moglie che lo ha aiutato ad illustrare il suo nuovo libro che racconta la storia vera di due fratelli che volevano imparare a scrivere nonostante i talebani

Una vita salvata dalla cultura e da una nonna: è quella raccontata da Walimohammad Atai nella nuova puntata di “Chi l’avrebbe mai detto”, il podcast quotidiano in onda su Radio Materia. Ospite della trasmissione, Atai – ex rifugiato afgano, oggi scrittore e docente – ha condiviso la sua storia personale, fatta di fuga, rinascita e impegno civile.
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«Stavo per diventare un kamikaze»: il racconto di Atai
Nato e cresciuto in Afghanistan, Wali Mohammad Atai ha raccontato nel podcast il lungo viaggio che lo ha portato in Italia nel 2013, da solo, quando era ancora adolescente. In patria, era destinato a diventare un kamikaze. «È stata mia nonna paterna a salvarmi – racconta – insistendo perché potessi studiare. Se oggi sono vivo, lo devo a lei e all’istruzione».
L’Italia come nuova madre
Accolto in Italia da minorenne, Atai ha trovato una seconda possibilità: ha studiato, si è formato come educatore professionale e oggi insegna. «L’Afghanistan è la mia madre biologica, ma l’Italia è la mia vera madre – ha detto – mi ha dato tutto quello che non avevo: libertà, istruzione, dignità».
Un libro per raccontare l’Afghanistan dei bambini
Durante l’intervista, Atai ha parlato anche del suo nuovo libro “Il villaggio che uccideva i sogni” (Multimage editore), un’opera che racconta la difficile condizione dei bambini afgani che provano a studiare in un paese dove l’istruzione è vietata o ostacolata. Il libro è anche una denuncia della situazione attuale sotto il regime talebano, che continua a soffocare ogni possibilità di futuro per le nuove generazioni.
L’istruzione come via di salvezza
La storia di Wali Mohammad Atai è emblematica del potere trasformativo della cultura e della scuola. Un messaggio forte, che il podcast di Radio Materia ha scelto di amplificare, offrendo al pubblico una testimonianza intensa e necessaria in tempi in cui si parla spesso di immigrazione ma poco di integrazione riuscita.
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