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“Occidente senza utopie”: la lectio magistralis di Massimo Cacciari a Filosofarti 2021

La riflessione sulle forme di utopie dell'Occidente dal nascere dell'età moderna di Massimo Cacciari, in dialogo con Cristina Boracchi, nel contesto di Filosofarti 2021

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«L’Occidente è senza utopie, pertanto è la società è giunta al suo apice e questo darà i suoi frutti, ma in quali contesti politici? In quali lingue? In quali tradizioni?»: questo il nucleo della riflessione che il filosofo Massimo Cacciari ha posto nella lectio magistralis di lunedì 22 febbraio.

Cacciari, ospite di Filosofarti 2021, ha dialogato – a distanza – con Cristina Boracchi sul tema dell’utopia nella storia dell’Occidente fino ai giorni nostri: «Un tema importante per il festival – ha spiegato Boracchi – perché permette di riflettere su come alcune categorie influenzano la coscienza moderna». La sua riflessione è al centro del saggio Occidente senza utopie, uscito nel 2016, scritto a quattro mani con lo storico Paolo Prodi (morto poco dopo la pubblicazione).

“Sapere è potenza”

L’utopia moderna, «da distinguere con la città ideale che Platone descrive in La repubblica», ha svolto una funzione essenziale nell’occidente: il sapere è inteso come potenza «e deve essere una progettazione tecnico-profetica della dimensione della vita: il sapere è potenza, è il sapere che regge le repubbliche utopiche di Tommaso Moro, di Campanella e di Francis Bacon». Quest’ultimo, con La nuova Atlantide, è stato decisivo per descrivere la forma mentis della modernità: nell’utopia moderna la scienza e lo stato sono un’unica cosa. «L’utopia esprime la realistica volontà della nuova potenza statuale», ha spiegato il filosofo, «lo stato ha la ferma volontà di organizzare per il fine di garantire il continuum e progressivo aumento dei saperi». Uno stato e un mondo, dunque, in progettazione e proiettati verso il futuro.

L’utopia come liberazione dell’uomo

Nel Diciannovesimo secolo l’utopia moderna viene meno «e allo stesso tempo si compie», con la formulazione dell’idea secondo cui la scienza possa portare alla liberazione delle persone da «ogni impegno materiale, da ogni fatica animale». Infatti, il progresso tecnico-scientifico, incarnatosi nei processi di produzione, è diventato il capitalismo, adottando delle forme di «sfruttamento del lavoro e di abbattimento dell’essere umano ancora più di prima».

La conferenza caricata sul canale YouTube di Filosofarti

Il limite dell’utopia moderna è rappresentato dall’impossibilità di mantenere la promessa: «La scienza non può promettere alcuna forma di felicità, ma questa era l’idea del progetto tecnico-scientifico. L’utopia prometteva la fine dello sfruttamento del lavoro come pena, ma ciò non può avvenire attraverso la scienza, bensì attraverso un’azione politica straordinaria». Lo scopo e la forma nuovi dell’utopia rivoluzionaria della liberazione dal lavoro: si trattava, come spiega Cacciari, di un’utopia che sapesse spezzare il continuum del progresso, «facendo saltare dai propri cardini il continuum storico, che va in crisi».

La seconda utopia si nutriva di una «costellazione spirituale» di inizio Novecento, come Bloch, BenjaminLukács, in cui emergeva il marxismo declinato in termini messianici: «Per loro l’utopia è l’unica cura delle classi subalterne, è l’istanza rivoluzionario-messianica con cui organizzare la rivoluzione. Per rovesciare lo stato di cose esistenti serve un’idea rivoluzionaria che viva dello spirito dell’utopia». Questa utopia ebbe vita breve, riducendosi in un «febbrile dibattito» tra la fine del Diciannovesimo secolo e il crollo delle democrazie liberali, tra gli anni Venti e Trenta del Novecento.

L’occidente senza utopia

Perché oggi l’Occidente è senza utopie? «Abbiamo una scienza completamente disincantata – ha spiegato Cacciari – e tutti noi siamo in una forma mentis del “tutto è storico”, come lo definiva Nietzsche. La storia è un procedere senza progresso, un infuturarsi sempre, un procedere della prima utopia che, però, prima si connetteva a determinati fini». Tutto ciò è il segno di una sorta di compimento del mondo occidentale: probabilmente non opererà più «nell’ambito europeo-occidentale, ma di un Occidente divenuto mondo, che forse recepirà le forme delle nostre utopie, anche se non sappiamo verso quali fini».

 

Nicole Erbetti
nicole.erbetti@gmail.com
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Pubblicato il 23 Febbraio 2021
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