“Lungo la via lo spirito originario di Exodus”. La carovana dei 40 anni arriva a Villadosia
Nel 1983 don Mazzi prese tredici ragazzi e cinque operatori e si mise in cammino. Un'esperienza vissuta anche da 18 ragazzi oggi: una sfida personale per tornare con più consapevolezza

«Exodus ha bisogno di tornare in carovana, perché lì c’è lo spirito originario»».
Diciotto ragazzi, quattro mesi di viaggio: venerdì 26 settembre la carovana di Exodus arriva a Villadosia, cuore della presenza in provincia di Varese. Un arrivo carico di significato, che riprende lo spirito originario del movimento fondato da don Antonio Mazzi oltre quarant’anni fa.
«La carovana è una comunità che cammina, il viaggio di un gruppo di uomini in una dimensione orizzontale, di condivisione», spiega Marco Pagliuca della Fondazione.
«Nel 1983 don Antonio Mazzi prese tredici ragazzi e cinque operatori, li caricò su un camper e iniziò a muoversi per incontrare persone lungo la via» ricorda Francesco, uno degli ospiti di Exodus che ha partecipato a questa carovana. «Allora la sfida di portare in giro dei tossicodipendenti era vista male, ma fu rivoluzionaria».
La “carovana40”, per i 40 anni di Exodus, è simbolicamente partita da Ambalakilonga in Madagascar, dove Exodus ha una sua realtà dal 2002: poi il 5 giugno ha preso il via il viaggio vero e proprio in Italia. Quattro mesi di strada, dal Varesotto alla Sicilia, per poi risalire, fino all’arrivo previsto il 6 ottobre a Peschiera del Garda dove si terrà il capitolo nazionale Exodus.

Ottanta, novanta chilometri al giorno, seguiti da un furgone d’appoggio, in bici. Ma non solo: anche a piedi lungo il Cammino di Dante, perfino in barca a vela. «Non è stata una vacanza, ma un viaggio impegnativo, un modo per vivere la comunità in maniera più stringente», racconta Marco, altro ospite.
A parlare sono otto ragazzi ospiti della comunità di Villadosia, dentro al gruppo conta diciassette persone.
Le voci dei protagonisti sulla strada
Ognuno degli ospiti porta con sé un pezzo di esperienza. Francesco sottolinea come «la carovana è la vita stessa: ti aiuta ad allargare gli orizzonti, a incontrare persone e a dare conforto anche nelle storie più difficili».
Diego insiste sul valore delle relazioni: «I monumenti li puoi vedere, ma è la storia dietro le persone che ti fa capire davvero. In questi quattro mesi ho avuto un bagaglio di confronto che non avevo mai conosciuto prima. Senza unione non saremmo arrivati fin qui».

Per Marco, fondamentale è stata «l’integrazione tra i diversi gruppi, diventati un unico cammino».
Un cammino che trasforma
Le testimonianze rivelano la fatica ma anche la rinascita, per persone che hanno attraversato periodi difficili. «La carovana mi fa assaporare la vita che voglio», racconta Manuel. «Non voglio tornare alla vita di prima: ogni giorno è un passo per riprendere in mano la mia esistenza».
Marco, in comunità da tre anni, ammette: «Ho inciampato diverse volte. Questo viaggio mi è servito a riflettere e a rimettermi in carreggiata. Se prima avrei voluto andarmene da Villadosia, oggi la sto vivendo bene». Omar ha affrontato un infortunio durante il percorso: «Un cammino è tale solo se ci sono difficoltà da superare. Portarlo a termine significa dimostrare di voler arrivare fino in fondo»
Per tutti, la carovana non è stata un’esperienza comoda. «La scomodità e l’improvvisazione della vita in movimento erano parte del senso stesso del viaggio», ricorda Diego.

Come sintetizza Marco Pagliuca, «non è sempre un momento piacevole, ma era un modo per lavorare insieme su obiettivi chiari, da portare a termine. La carovana chiama».
«È stato qualcosa di eroico per come li abbiamo conosciuti e per come loro stessi si sono conosciuti» continua Pagliuca. «Io non sarei arrivato qui senza di loro: mi hanno spinto ad andare oltre i miei limiti. Seppur nella difficoltà della convivenza, ci dev’essere il volersi bene e l’affidarsi agli altri. Exodus ha bisogno di tornare in carovana, perché lì c’è lo spirito originario».
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