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I tagli nella tela sono autentici? Il tribunale assolve gli studiosi di Dadamaino

Nel 2014 il leghista Claudio Borghi aveva denunciato i presunti falsi attribuiti all'allieva di Lucio Fontana. Il processo è durato due anni, con molte indagini tecniche: "Il fatto non sussiste"

Dadamaino

L’indagine e il processo sono durati anni, per arrivare ad un punto: erano autentiche le opere dell’artista Dadamainoche circolavano sul mercato? Quelle tele tagliate erano davvero opere di Emilia Maino, l’allieva di Lucio Fontana?

Alla fine, dopo sei anni il tribunale ha detto che non c’era falsificazione, “il fatto non sussiste”. Assolti tutti gli imputati, tra cui Nicoletta Saporiti, Fernando Colombo e il prof. Flaminio Gualdoni, componenti dell’Archivio Opera Dadamaino e legati anche alla provincia di Varese (Saporiti e Colombo sono originari di Somma Lombardo, Gualdoni è stato direttore dei musei civici di Varese e fine anni Novanta; lo stesso Archivio ha sede a Somma Lombardo) .

La vicenda aveva fatto molto discutere nel mondo dell’arte, tanto che se ne trova traccia persino un forum con duecento pagine di discussione che partono dal 2010. Allora sul mercato comparvero diverse opere della artista, della serie dei “Volumi” risalenti alla seconda metà anni Cinquanta, in un momento di particolare creatività del movimento artistico milanese. Una invasione, disse qualcuno, mormorando sull’autenticità: dalle allusioni “gastronomiche” sul web(si alludeva ad una galleria con sede a Gorgonzola) si è passati alle denunce: il 9 ottobre 2014 l’onorevole Claudio Borghi ha infatti denunciato la cosa ai Carabinieri di Monza, il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale.

Il Pm aveva in effetti dato seguito alla denuncia, il caso era scoppiato a quattro anni di distanza, con tanto di scoop del quotidiano La Verità che metteva al centro il ruolo di Borghi, divenuto nel frattempo noto come economista salviniano: “Il deputato leghista Claudio Borghi sgomina una banda di falsari”, che avrebbero venduto per decine di migliaia di euro opere fatte in casa e attribuite a Dadamaino.

Il lungo processo alla fine si è concluso con l’assoluzione di tutti – galleristi di Gorgonzola, mercanti d’arte e studiosi– con la formula che “il fatto non sussiste”.

Il 15 luglio 2020 sono state depositate le motivazioni della sentenza che spiegano il percorso argomentativo seguito dal Collegio. «La lettura del provvedimento costituisce motivo di conforto in quanto il Tribunale, ripercorrendo l’intera vicenda processuale, riconosce la correttezza dell’operato ed il contributo probatorio fornito dall’Archivio, smentendo di fatto tutti gli elementi su cui si basava l’impostazione accusatoria, a partire dal numero ritenuto eccessivo e sospetto di Volumi in circolazione, fino all’assenza di storia espositiva degli stessi, per poi finire con la valutazione degli aspetti tecnici» spiega avvocato Matteo Mangia, difensore dell’Archivio Dadamaino.

Il punto è che Dadamaino realizzò decine e decine di opere dei “Volumi”, «un ciclo condotto dall’Artista a più riprese e lungo un arco cronologico assai ampio e non circoscritto», che ha finito per cambiare le caratteristiche nel tempo, in una evoluzione che rendeva dinamica l’opera dell’artista. Che nel caso di questo specifico insieme di opere inizia a fine anni Cinquanta, s’interrompe a inizio Sessanta e riprende dal 1975.

Nella sentenza, nelle perizie svolte (è stata portata in aula un’opera autentica, per confronto), emergono mille diversi elementi di analisi, dalla forma dei bordi dei tagli realizzati nelle opere alle caratteristiche dei telai, alla firma (Dada Maino o Dadamaino, a seconda del periodo) fino all’uso della scialbatura, che nelle ipotesi di accusa era un modo per invecchiare artificialmente l’opera ma che appare anche in opere assolutamente autentiche, come quella esposta al Centre Pompidou di Beaubourg a Parigi, e che si può ricondurre alla necessità di irrigidire la tela. Per cui la sentenza alla fine concude che “non vi sono dettagli significativi e certi per giungere alla conclusione di non autenticità”.

«Sono soddisfatto dell’assoluzione dell’Archivio. In questi anni abbiamo proseguito senza incertezze l’impegno nell’archiviazione e catalogazione dell’opera dell’artista nelle altre serie di lavori, che sono molteplici, diversissime e tutte di grande importanza» dice ancora professor Paolo Campiglio, direttore scientifico dell’Archivio Dadamaino. «Dadamaino era nota per non fossilizzarsi su una ricerca, ma, ottenuto un risultato estetico, passava subito ad altro guardando al futuro. Non ha mai rinnegato le sue “scoperte”, ed è stata sempre attenta a una visione retrospettiva del suo lavoro». Quella che la portò a riprendere nel 1975 la serie dei Volumi, che aveva interessato anche il suo mentore Lucio Fontana.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 30 Luglio 2020
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