Novantasette per cento
Una manciata di partite in NHL possono bastare per entrare nella hall of fame. Perché uno come Willie O'Ree è stato più forte del razzismo e di una grave menomazione a un occhio
(d. f.) “Novantasette per cento” è la quinta puntata della rubrica di Marco Giannatiempo curata dalla redazione sportiva di V2 Media/ VareseNews e dedicata alla cultura dell’hockey su ghiaccio. “Alla balaustra” ha cadenza quindicinale e viene pubblicata il primo e terzo (ed eventualmente quinto) lunedì pomeriggio di ogni mese.
«Bella vero?!? Beh, del resto Pontiac è sinonimo di garanzia e poi, come certamente saprà, la GTO che ha di fronte nasce da un’idea di John DeLorean che si è ispirato alla Ferrari 250 GTO. Sotto al cofano quest’auto nasconde un otto cilindri longitudinale atmosphérique che garantisce 296 cavalli di pura potenza, e poi che dire di quel fantastico cambio automatico a tre rapporti? Quest’ultimo modello poi, riesce a stare anche in strada sa? Questo grazie alle sospensioni ricalibrate e la barra stabilizzatrice. Sì stupenda però, ecco: sul cruscotto della sua auto ho notato un paio di guanti da guida di ottima fattura, segno distintivo di chi le macchine le ha dentro. Se è vero, se non mi sbaglio, se lei è uno di quelli che vuole vivere la strada come immagino… allora le lasci stare la Pontiac e guardi qui, questa è una “Super Hugger”, la nuova generazione della Camaro, è forse il miglior motore mai prodotto in tutti gli Stati Uniti d’America. Parliamo di un V8 alimentato da una vera e propria opera d’arte, un singolo carburatore Holley a 4 corpi che consente a quest’auto di sprigionare 375 cavalli: in verità non conosco nessuno che sia riuscito a frustarli tutti quanti assieme, ma ecco mi creda quando galoppano si sentono. Sono esattamente 6mila dollari in più rispetto alla Pontiac, ma tutt’altra esperienza…».
Siamo nell’estate del 1974, giornali e radio riportano in maniera frenetica i dettagli dello scandalo Watergate, con la richiesta di impeachment verso il Presidente degli Stati Uniti d’America. Richiesta che non troverà riscontro visto che Richard Nixon si dimetterà subito dopo la diffusione dei famosi nastri della “pistola fumante”, che sbobinano le compromettenti conversazioni tra il Presidente stesso del suo staff rispetto ad attività illegali.
Le parole invece, sono quelle di William Eldon O’Ree, sales manager presso Linn’s Auto Sales, concessionario multimarca di vendita auto usate situato al 3601 Imperial Avenue di San Diego. Lui è molto bravo a fare il suo mestiere, l’ennesimo lavoro dopo il garzone, il muratore, l’uomo della sicurezza per un hotel e il giocatore professionista nella National Hockey League. Esperienza quest’ultima che gli è valsa, tra le altre, una medaglia d’oro del Congresso, ovvero la più alta onorificenza che gli Stati Uniti possano conferire ad un civile: O’Ree a oggi è anche l’unico giocatore della NHL ad averla ricevuta.
Ora probabilmente quella medaglia giace in un cassetto, ma qualcosa di suo lo si può vedere se ci si reca a Boston, e più precisamente al “The Garden” lo stadio di casa dei Celtics che giocano in NBA e quella dei Boston Bruins che invece disputano il campionato NHL. Dopo aver fatto l’immancabile tappa al chiosco tra il parcheggio e lo stadio al “New England Lobster Roll”, per assaporare il classico panino con l’aragosta, basta entrare nello stadio e guardare verso l’alto, sulla destra del grande orologio centrale: lì si trova l’omaggio alla sua maglia, la numero 22, ritirata dalla società e che quindi nessuno tesserato dei Bruins potrà mai più indossare.
Willie nasce nel ‘35 a Fredericton, nel New Brunswick in Canada, realtà rurale fortemente segnata dal passato lealista, vista l’altissima percentuale di coloni fedeli al regno della Gran Bretagna. Ultimo di 13 fratelli, O’Ree sviluppa grazie anche alla passione del padre, l’interesse per l’hockey su ghiaccio sin da giovanissimo. I primi pattini li indossa all’età di tre anni, e sul ghiaccio ci sta praticamente sempre: ci va pure a scuola, sfruttando il vicino laghetto – ghiacciato per molti mesi all’anno – che si estende lungo la dorsale che porta all’edificio scolastico. Nel pomeriggio gioca nel cortile di casa, debitamente “allagato” dal padre e ghiacciato dalle rigide temperature di quella zona.
Le doti di Willie emergono in maniera chiara sin da subito, ma è all’età di 15 anni che esplodono quando in forza ai Fredericton Falcons fa cose incredibili con il bastone, ma soprattutto sviluppa una velocità ed un’intelligenza di gioco decisamente fuori dalla norma. Nel corso del suo primo torneo ufficiale però, la sua carriera rischia di interrompersi per sempre, colpa di una carica non irregolare ma molto decisa: non è lui a subirla ma al contrario ne è l’artefice, l’obiettivo è Jack, il figlio dell’allenatore che gioca in un’altra squadra e che cade a terra lamentandosi. La prognosi è una clavicola lussata, nulla di così grave: tre settimane e potrà tornare sul ghiaccio; chi smettere di giocare a partire da quel momento è invece è O’Ree, che viene cacciato dalla squadra con effetto immediato. Lo decide il suo allenatore, nonché padre dell’infortunato perché non sopporta che un giocatore, per giunta di colore, possa aver fatto questo. Willie lascia pattini maglia e bastone e se ne va.
Lo stop dura più di un anno, fino a quando uno scout dei Kitchener-Waterloo Junior Canucks, farm team dei Montreal Canadiens, si ricorda di quel ragazzo veloce ed intelligente che aveva visto giocare tempo prima: lo fa allenare e dopo una settimana gli assegna una maglia, la numero 22. Entra in squadra immediatamente, ed in pochissime partite ne diventa il faro, che però perde d’intensità a causa di un brutto infortunio verso fine stagione del ‘55, quando il tiro di un compagno di squadra verso la porta viene deviato dalla pala di un bastone, colpendo il viso di Willie.
Lui si rialza, ha male ma può continuare e al cambio successivo chiede al medico di dargli un’occhiata perché non riesce ad aprire la palpebra, forse a causa della botta. Il medico gli dice che la palpebra è aperta, ha un brutto colpo ma il suo occhio non è chiuso. Torna in spogliatoio, poi in pronto soccorso e direttamente in ospedale: deve essere operato d’urgenza, ma c’è poco da fare. La mattina dopo arriva la diagnosi: il disco ha colpito in pieno l’orbita oculare, decretando la perdita del 97% della vista nell’occhio destro. In quelle condizioni non avrebbe mai più giocato ad hockey su ghiaccio.
Il suo viceallenatore che lo assiste nei gironi seguenti capisce la situazione, e racconta come la perdita di un senso può stimolare il cervello a migliorare gli altri: il suo sarà – ne è certo – quello della posizione. Non deve scoraggiarsi e poi è già il più veloce di tutti; deve fare solo una cosa: cambiare posizione, diventare un ala destra, e sfruttare il cono visivo dell’occhio che funziona. Willie ci crede e si impegna, ci mette tutto sé stesso e sente che in effetti è vero: da quella menomazione lui ci può perfino guadagnare, e giocare dall’altro lato del campo forse è pure più divertente. E poi quella cosa del senso della posizione migliorata la percepisce come un super potere: del resto aveva sempre amato i fumetti di Daredevil, l’uomo senza paura, a cui un incidente aveva tolto la vista ma concesso sensi ipersviluppati e soprattutto rafforzato la sua volontà divenuta di ferro.
Continua ad allenarsi fino a quando succede una cosa incredibile, tra depliant pubblicitari e le bollette della compagnia telefonica, trova una busta con un logo inconfondibile: riporta i quatto assi su sfondo verde dei Quebec Aces e al suo interno c’è la convocazione per l’anno successivo in quella che è la migliore squadra professionistica della regione. O’Ree decide di accettare, senza naturlamente far menzione del suo infortunio ma c’è un problema: si deve sottoporre alle visite mediche, e anche se i dottori controllano prima di tutto fisico e polmoni lui da quell’occhio destro praticamente non vede nulla.
Va tutto bene, perfetto il cuore, ottima la spirometria, così come tutte le altre visite, serve solo l’ultima formalità, l’esame della vista. Entra nella stanzetta e si siede allineandosi alla tabella luminosa dove il medico chiede di coprire con il cartoncino il primo occhio da cui vede benissimo, 10 decimi. Tocca al secondo occhio, nebbia totale, non vede neppure il medico. «Dottore! Ho notato che lei tifa per Vancouver, sembra che anche quest’anno anziché “Vancouver Canucks” vi toccherà cantare “Vancouver can-not”! Phil Maloney non sembra in gran forma», recita Willie, spostando il cartoncino dall’occhio buono e rispondendo in maniera corretta alla sequenza di lettere che il medico domanda in maniera blanda al giocatore, più intento a rispondere per le rime che a concludere la visita medica. «E-H-S-O, oppure zero, non riconosco mai la O dallo zero». Un doppio timbro rosso certifica la buona salute visiva del giocatore, certificato con cui O’Ree entra in squadra.
Willie in maglia Bruins contro i Toronto Maple LeafsGià nella prima stagione fa la differenza, gioca 83 partite e mette a segno 23 gol, ma soprattutto produce una mole incredibile di gioco grazie alla quale la squadra vince la Quebec Hockey League. Finalmente nel dicembre del 1960 arriva la chiamata più attesa, quella dei Boston Bruins in NHL assieme ad una maglia da titolare, sempre la numero 22, e anche lì nasconde il suo problema senza che nessuno se ne accorga. Il suo primo gol lo segna contro i Montreal Canadiens, prendendosi la gloria da una parte ed insulti razzisti dall’altra. Bel gioco, velocità e gol sono il suo marchio di fabbrica, si prende le prime pagine dei giornali sportivi visto che numeri alla mano è uno dei giocatori più forti della lega. Troppa visibilità secondo alcuni, del resto in quegli anni i neri vivevano ancora una forte segregazione e solo l’anno prima a Little Rock, 1959 esplose la famosa manifestazione di protesta contro l’integrazione razziale nella scuola pubblica dei neri, con slogan come: “La mescolanza razziale è comunismo” e “Fermiamo l’anticristo a favore della mescolanza razziale”.
Qualcuno doveva dare una lezione a O’Ree: prova a farlo Eric Nesterenko nella partita casalinga contro Chicago. Nesterenko lancia pesanti e plateali insulti razzisti verso Willie, ma lui fa finta di non sentire, anzi in una delle sue poderose discese, addirittura cambia traiettoria, lo punta, lo supera due volte e segna. Inferocito, il centro dei Black Hawks lo raggiunge con il bastone ad altezza del volto: labbro spaccato e due denti sul ghiaccio per O’Ree, il quale però questa volta reagisce e colpisce a sua volta l’avversario con il bastone causandogli 17 punti di sutura al capo. Scoppia il finimondo, oltre alle squadre sul ghiaccio si riversano pure i tifosi, con la squadra ospite costretta ad asserragliarsi negli spogliatoi.
Il fatto segna la carriera di Willie che viene ceduto dai Bruins; inaspettatamente sono gli “odiati” Canadiens che lo acquistano l’anno successivo, ma la squadra di Montreal decide di non utilizzarlo, facendolo giocare solo nelle leghe minori e così i suoi pattini non calcheranno mai più una pista di NHL.
“Razzismo” scriverà lui nella sua personale autobiografia “The Autobiography of Willie O’Ree: Hockey’s Black Pioneer”; razzismo che ha fermato la carriera di un giocatore che avrebbe potuto dare ancora moltissimo in NHL. Lui continua comunque a giocare perché è la cosa che sa fare meglio, fino a quando non decide di appendere i pattini al chiodo nel 1974, quando torna a San Diego. Qui incontra il suo ex viceallenatore che, di fronte ad una birra ghiacciata, gli confessa che il discorso della perdita della vista da un occhio e il conseguente aumento del senso della posizione ecco, se lo era inventato. Willie sorride, lui ci aveva creduto, e da quel giorno tutte le settimane passava in edicola a comprare il fumetto di Daredevil: ne aveva una collezione infinita e il trasferimento dei fumetti da Montreal a San Diego era stata la spesa maggiore del trasloco.
Negli anni successivi la NHL si apre al cambiamento che giocatori come O’Ree hanno facilitato: aumentano gli atleti di colore e aumenta anche la consapevolezza che va fatto qualcosa per agevolare questa tendenza. O’Ree, ormai ultracinquantenne, viene richiamato in NHL con il ruolo di ambasciatore della diversità per incoraggiare ragazzi di colore a scegliere e praticare questo stupendo sport, ruolo che svolge con incredibile entusiasmo. Poi arrivano le scuse ufficiali di chi in qualche modo ha fermato anzitempo la carriera di quel bravissimo giocatore; seguono il ritiro della maglia e altri riconoscimenti sportivi che, anche se in maniera postuma, coronano la carriera di un giocatore fortissimo che forse un pochino supereroe lo è stato per davvero. E tra i suoi super poteri c’era anche quello della vendita visto che – per la cronaca – l’acquirente del Linn’s Auto Sales alla fine propese per l’acquisto della Camaro gialla.
ALLA BALAUSTRA: PUNTATE PRECEDENTI
1. La fine di un “goon”
2 . Ghiaccio nero
3. Quei “matti in gabbia”
4. Sessantotto
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